Liverpool Football Club
Anno di fondazione: 1892
Nickname: the Reds
Stadio: Anfield, Anfield Road, Liverpool L4
Capacità: 45.362
Un appassionato di calcio inglese che parla del Liverpool Football Club è un po’ come un amante dell’arte che disquisisce di Monna Lisa; insomma, il meglio che ci sia in giro, il top-3 del calcio d’oltremanica. La bacheca più colma di trofei d’Albione (ma il Manchester United insidia il primato in un avvincente testa a testa), la storia di un movimento scritta da gente come Bill Shankly, Bob Paisley, Kenny Dalglish, Kevin Keegan, Ian Rush, fino ad arrivare a Michael Owen Pallone d’Oro e Steven Gerrard che ha alzato l’ultima Champions vinta dai Reds. E poi ancora il mito della Kop, quel muro umano che nel vecchio Anfield soprattutto intimoriva chiunque vi si avvicinasse, il “you’ll never walk alone” prima del fischio d’inizio, con i brividi che scorrono lungo la schiena, la tragedia di Hillsborough con cui ancora oggi il calcio inglese deve fare i conti (ed emergono sempre novità in quell’inchiesta) e che cambiò la concezione stessa di andare allo stadio, e dall’altro lato la tristissima notte dell’Heysel, con gli hooligans del Liverpool protagonisti e la conseguente esclusione per anni delle squadre inglesi dalle competizioni europee. Tutto ciò, e molto altro, è il Liverpool Football Club; per cui, con una certa dose di pelle d’oca, superiamo i Shankly Gates e entriamo nel mondo Reds.
La fondazione del Liverpool, l’abbiamo visto, si intreccia irrimediabilmente con l’Everton, a quel tempo già ai vertici (un titolo in bacheca). Ricapitoliamo. John Houlding, businessman e politico, era diventato proprietario di Anfield Road, lo stadio utilizzato proprio dall’Everton, che pagava l’affitto a Houlding; quando questi aumentò la tariffa annua, le proteste che ne seguirono all’interno del club (Houlding venne accusato di voler far soldi a danno dell’Everton) portarono l’Everton lontano dall’impianto, verso quel Goodison Park che ancora oggi è lo stadio dei Toffees. Era il 1892. Houlding si trovò così con uno stadio di sua proprietà, ma senza una squadra che vi giocasse, un po’ come capitato a Gus Mears con Stamford Bridge; e come Mears, che fondò il Chelsea, Houlding con il socio d’affari John Orrell decise di creare il proprio club. Inizialmente il nome della società fu Everton FC and Athletic Grounds, o Everton Athletic, ma per fortuna diciamo noi oggi, abituati alla bella rivalità e al dualismo tra le due società, il Football Council rifiutò la denominazione, e Houlding ripiegò per un forse più banale, ma sicuramente vedendola col senno di poi azzeccatissimo Liverpool Football Club. Era il 15 Marzo 1892, l’Everton stava finendo la sua ultima stagione ad Anfield prima del trasferimento che avvenne effettivamente nell’estate successiva, estate che vide la società di Houlding riconosciuta ufficialmente dall’establishment del calcio inglese. Iniziava in quel momento la storia del Liverpool.
Siccome in ‘sta benedetta squadra qualcuno poi avrebbe dovuto giocarci, cosa non semplice visto che fino al giorno prima non esisteva nemmeno, la squadra, venne in fretta e furia organizzata una spedizione oltre il confine con la Scozia, una sorta di ratto delle Sabine calcistico da cui John McKenna, precedentemente nominato director of football, tornò con tredici calciatori professionisti reclutati, quasi tutti sinistramente inclini al cognome che iniziava col “Mc” da buoni scozzesi: quella squadra passerà alla storia come “the team of the Macs“. Esordio contro il Rotherham Town, e involontariamente si scrisse giù un piccolo pezzo di storia: il Liverpool fu la prima squadra inglese a schierare un undici che non comprendesse nemmeno un inglese, ovviamente ciò dovuto all’operazione del buon McKenna vista sopra. 7-1 il risultato. Houlding provò subito ad entrare in Football League, ma la richiesta fu respinta e il Liverpool iniziò giocoforza la sua scalata al tetto d’Europa dalla Lancashire League, dove all’esordio i “Macs” distrussero per 8-0 l’Higher Walton. La maglia era a quel tempo bianca e azzurra: solo nel 1896 sarebbe stato introdotto il leggendario rosso. A fine stagione, nella Liverpool Senior Cup, il Liverpool sconfisse per 1-0 l’Everton in quello che resta il primo Merseyside derby della storia, e fu inoltre ammesso alla Football League, di cui entrò a far parte partendo dalla Second Division. Una stagione di transizione in seconda serie, terminata al primo posto e da imbattuti, e fu subito First Division.
La vita in First non fu facile, e dopo appena una stagione il Liverpool retrocesse, trovandosi nuovamente in Second. Il problema principale stava nella difficoltà di far breccia nel cuore della gente di Liverpool, con da un lato l’Everton che, con quattordici anni di vita in più alle spalle, aveva ormai conquistato l’egemonia cittadina, dall’altro la riluttanza degli abitanti della città di tifare per una squadra piena zeppa di scots, che poco avevano a che fare con la città stessa. Urgeva una svolta, e l’immediata promozione aiutò notevolmente in tal senso; e nel successivo campionato, il quinto posto finale poneva il Liverpool davanti all’Everton per la prima volta nella storia. A questo punto la svolta si fece davvero concreta; arrivò dal Sunderland il manager Tom Watson, che nel Tyne & Wear aveva portato la bellezza di tre titoli di First Division, e nello stesso anno (1896) i colori del club vennero cambiati dal bianco-azzurro al rosso, colore della città di Liverpool: il legame con la comunità, che a parte il nome mancava a una squadra creata dal nulla da un businessman e riempita di scozzesi, si fece così forte, ancor di più quando nel 1901 il Liver bird, l’uccello simbolo della città (sulla specie si dibatte da decenni, prendiamo buona la versione che si tratti di un cormorano), venne adottato dal club come crest (mentre l’Everton lo adotterà fino agli anni ’30 nell’oggettistica del club, come ad esempio le medaglie, per poi passare alla Prince Rupert’s Tower come visto). Con queste premesse, magari poco importanti sul piano del calcio strettamente connesso al campo di gioco ma fondamentali per l’immagine e il successo del club, nel 1900/01 i Reds vinsero il loro primo titolo di una lunga serie, e a questo punto poco importava se il capitano di quella squadra fosse ancora uno scozzese (Alex Raisbeck). E la retrocessione di due stagioni dopo fu solo un piccolo incidente di percorso, visto che, tornati prontamente in massima serie, gli uomini di Watson vinsero nuovamente il campionato 1905/06. In quello stesso anno venne costruita una nuova stand, che forse avrebbe potuto chiamarsi Walton Breck Road End se ad Ernest Edwards, redattore dello sport per il Liverpool Daily News e il Liverpool Echo, non fosse venuta l’idea di dedicarla alla memoria dei caduti nella guerra boera, e in special modo sulla collina denominata Spion Kop. Molti di quei 300 cadutii appartenevano al reggimento Lancashire ed erano originari di Liverpool. Nasceva così la Kop, uno dei settori di stadio più famosi al Mondo.
Watson rimarrà manager del Liverpool fino al 1915, in tempo per disputare la prima finale di FA Cup nella storia dei Reds, giocata nel 1914 al Crystal Palace di Londra e persa contro il Burnley (0-1) sotto gli occhi di re Giorgio V. Il 1915 segna anche una pagina triste, con il primo scandalo riguardante una partita combinata, Manchester United-Liverpool (che ironia della sorte diventeranno rivali acerrime) e che portò alla squalifica di quattro giocatori Reds (Jackie Sheldon, Tom Miller, Bob Pursell e Thomas Fairfoul), squalifica a vita che fu poi annullata nel 1919 per essersi distinti al servizio della Patria durante la guerra (durante la quale morì uno dei giocatori coinvolti sponda United). Il primo dopoguerra fu nuovamente un periodo di successi, con il nuovo manager David Ashworth in panchina che portò i Reds ai back-to-back titles del 1921/22 e 1922/23 (anche se nel secondo caso non terminò la stagione). Nella prima occasione il Liverpool vinse comodamente, staccando di sei punti il Tottenham con la coppia goal Harry Chambers e Dick Forshaw in gran spolvero (21 e 20 goal rispettivamente); nella stagione seguente Ashworth a Febbraio fece un clamoroso passo indietro per tornare al suo club originario, l’Oldham Athletic: clamoroso perchè, mentre il Liverpool era in lotta per il titolo, i Latics lottavano…sul fondo della classifica, retrocedendo poi. Per fortuna dei Reds la squadra non risentì più di tanto della partenza del manager e concluse nuovamente con sei punti sulla seconda, in questo caso il Sunderland. In campo in entrambe le stagioni Elisha Scott, il portiere e il giocatore più fedele di sempre alla causa del Liverpool: vi giocò dal 1912 al 1915 (durante la Guerra giocò in Irlanda del Nord) e poi dal 1916 al 1934, e leggendari sono i suoi incontri con Dixie Dean nei derby, alcuni dei quali sfiorano il mito.
Fino alla Seconda Guerra Mondiale, però, non successe nient’altro di significativo. Stagioni di metà classifica, il punto più alto un quarto posto, il più basso il diciannovesimo, i goal dell’implacabile Gordon Hodgson, e l’arrivo nel 1936 come manager di George Kay, che nel 1939 porterà ad Anfield un giovane difensore del Bishop Auckland, Robert “Bob” Paisley. La guerra interruppe questo periodo piuttosto avaro di successi per i Reds. Alla ripresa delle competizioni il Liverpool di Kay però si aggiudicò il primo titolo del dopoguerra, quello del 1946/47 che vide tra l’altro una serrata lotta al vertice, con Liverpool, Manchester United, Wolverhampton e Stoke City in gioco per la vittoria finale: la vittoria all’ultima giornata del Liverpool al Molineux contro i Wolves, parallelamente alla sconfitta per 2-1 dello Stoke City in quel di Sheffield (United), mise nuovamente i Reds della coppia goal Jack Balmer e Albert Stubbins sul trono del calcio inglese. Ma fu un episodio, e quasi un canto del cigno che effettivamente arrivò nel 1950 con la sconfitta in finale di FA Cup contro l’Arsenal: anni bui erano alle porte, ricordati in positivo solo per il record di goal in campionato di Roger Hunt. Kay si ritirò nel 1951 e venne sostituito da Don Welsh, una FA Cup col Charlton e un triste destino: diventerà il primo allenatore licenziato nella storia del Liverpool. Come arrivò a questo punto? Beh, innanzittutto ebbe la sfortuna di ereditare una squadra agli sgoccioli, che necessitava di un rinnovamento mai fatto, e che tristemente retrocesse nel 1953/54; ma soprattutto, non riuscì mai a riportare il Liverpool in First Division, cosa che pagò a caro prezzo nel 1956 con il licenziamento. Il suo sostituto, Phil Taylor, seguì le orme di Welsh, passando direttamente dalla panchina al libro nero del Liverpool quando la squadra da lui allenata venne estromessa dall’FA Cup 1959 per mano del Worcester City, forse la sconfitta più umiliante nella storia dei Reds se si tiene conto che il Worcester City era club di non-league. Con la squadra stazionaria in Division Two, nel novembre del 1959 Taylor si dimise; per sostituirlo, dall’Huddersfield Town arrivò ad Anfield, con la faccia di chi sapeva che avrebbe scritto la storia, William Shankly. Per tutti, Bill.
Con Bill Shankly il Liverpool, da squadra con una buona storia alle spalle, un bello stadio e poco più, divenne leggenda; perchè se è vero che gli allori europei più importanti li vincerà Paisley, le basi perchè tutto ciò fosse possibile le gettò Shankly. Siccome detestiamo le ripetizioni, di Shankly abbiamo già parlato, uno dei primi post in assoluto di questo blog, nato ad inizio 2012, post che trovate QUI. E’ però giusto ricapitolare cosa Shankly fece per il Liverpool e gli allori che portò ad Anfield Road. Innazitutto la preparazione delle partite, dagli allenamenti al celebre Boot Room, la stanza in cui Shankly e i suoi collaboratori (tra cui Bob Paisley) si riunivano per discutere di tattica, di avversari etc. E poi il rapporto con i tifosi, la totale empatia che si creò tra manager e stadio, tant’è che il celebre “this is Anfield” che ancora oggi accoglie i giocatori che entrano in campo fu voluto da Bill, perchè quello sarebbe diventato il campo di battaglia dei suoi Reds e nessuno avrebbe potuto più pensare di venirvi a fare una salutare passeggiata. Se Houlding fondò il Liverpool, Shankly lo creò, senza paura di esagerare nell’affermare ciò, anche perchè, dovremmo aver paura di esagerare quando si parla di uno dei cinque? dieci? allenatori più grandi di sempre nella storia del calcio inglese (e non solo)? No. Un articolo del Guerino su Shankly di qualche anno fa titolava “la Kop sei tu”, titolo che non ci è piaciuto molto ma che forse rappresenta sinteticamente al meglio il concetto che Anfield=Shankly, e viceversa; lo stesso Shankly dichiarerà “Liverpool was made for me and I was made for Liverpool”. Una presenza, quella di Shankly, talmente ingombrante che quando si ritirò gli venne vietato l’ingresso ad Anfield e a Melwood, il centro d’allenamento, perchè per tutti il capo era ancora lui e non Paisley, “Bob”, nel frattempo divenuto manager.
Ricapitoliamo brevemente. Shankly riportò il Liverpool in First Division nel 1961/62, e da lì in avanti non solo i Reds non retrocederanno mai più, ma non scenderanno oltre l’ottavo posto in classifica (record negativo eguagliato la stagione scorsa). Shankly non si limitò ovviamente a ciò, abilissimo peraltro a costruire due squadre: quando la squadra dei successi degli anni ’60 intraprese il viale del tramonto, il manager intuì che necessitava di un rinnovamente e costruì con altrettanta sagacia il team degli anni ’70 e dei successi europei. Portò ad Anfield tre titoli (1963/64, 1965/66, 1972/73), due FA Cup (1965 e 1974), una Coppa UEFA (1973), tre Charity Shield (1964, 1966, 1974), qualcosa di eccezionale per un club che fino a quel momento aveva in bacheca cinque titoli d’Inghilterra e stop. Vale la pena nominare qualche giocatore dell’era Shankly, da Ian St John a Kevin Keegan, da Ron Yeats a John Toshack, da Ian Callaghan a Emlyn Hughes. Quando nel 1974 annunciò il ritiro il mondo Reds fu talmente scioccato che i dipendenti di una fabbrica arrivarono persino a minacciare lo sciopero (!). Se non è leggenda questa…per sostituire Shankly si decise, con grande lungimiranza, di affidarsi a un suo collaboratore, nonchè ex giocatore del club: Paisley, come detto, fidatissimo uomo di Shankly (“Bob and I never had any rows. We didn’t have any time for that. We had to plan where we were going to keep all the cups we won”). Paisley non vinse nemmeno un trofeo nel 1974/75, la sua prima stagione alla guida della squadra: il più classico degli incidenti di percorso, perchè per i successivi nove anni mise in bacheca almeno un alloro a stagione.
La stagione 1975/76, di cui abbiamo appena parlato dal punto di vista del QPR secondo classificato, vide i Reds trionfare per la prima volta sotto la guida di Paisley, e fu il preludio al magnifico back-to-back in Coppa dei Campioni, il 3-1 al Borussia Moenchengladbach del 1977 e l’1-0 al Brugge del 1978, che segnarono anche il passaggio di testimone tra Kevin Keegan (che giocò l’ultima partita con i Reds proprio nella finale del ’77) e il suo sostituto, Kenny Dalglish, autore della rete contro i belgi e futuro manager del club. Arrivò un ulteriore trionfo europeo, nel 1983 contro il Real Madrid, oltre alla Coppa UEFA del 1976 che non avevamo ancora citato, vinta sempre contro il Club Brugge. Entro i confini del regno, il Liverpool di Paisley vinse sei titoli in nove stagioni (“Mind you, I’ve been here during the bad times too – one year we came second”, forse la più famosa citazione di Paisley), tre Coppe di Lega (1981, 1982 e 1983), cinque Charity Shield (1976, 1977, 1979, 1980, 1982) ma nessuna FA Cup (finalisti nel 1977, sconfitta contro il Manchester United), se proprio vogliamo cercare il pelo nell’uovo l’unico neo nel palmares di Paisley; comunque, sottigliezze. Le nostre storie sono belle da narrare (e speriamo anche da leggere), ma la necessità di comprimere gli avvenimenti ci porta inevitabilmente a rasentare la superficialità, e nel caso del Liverpool è un peccato non poter narrarne le gesta in modo esaustivo: come fatto con Shankly, in futuro torneremo a parlare in modo specifico di alcune annate o epoche dei Reds. Citiamo solo alcuni giocatori dell’era Paisley, lanciati dal manager o ereditati da Shankly, ma che segnarono comunque il suo periodo da manager: Kenny Dalglish, Graeme Souness, Alan Hansen, Ronnie Whelan, Alan Kennedy, Ian Rush, Ray Clemence, Phil Neal, Phil Thompson, Terry McDermott. E così via. Paisley si ritirò nel 1983. Ancora una volta venne nominato manager un membro del “boot room” di Shankly, così come lo era stato Paisley: Joe Fagan.
Se nella sua prima stagione Paisley non vinse nulla, Fagan rischiò di entrare dritto nel mito: vinse Coppa di Lega, campionato e Coppa dei Campioni, nella finale dell’Olimpico contro la Roma, una sorta di treble, che non viene considerato tale perchè la coppa Nazionale è e resterà solo la FA, ma che comunque è un inizio discreto. La stagione 1984/85 non fu tuttavia altrettanto fortunata: semifinale di FA Cup, secondo posto in campionato dietro l’Everton e soprattutto il dramma dell’Heysel, la morte di 39 tifosi della Juventus a causa degli hooligans e una partita, che perse molto significato dopo quella tragedia, comunque persa per 1-0. Fagan si ritirò poco dopo l’Heysel. Al suo posto, Kenny Dalglish, che passò direttamente dal campo alla panchina (inizialmente ricoprendo entrambi i ruoli) e nella sua prima stagione conquistò il double campionato-FA Cup, che nell’epoca dell’esclusione dalle competizioni europee era quanto di meglio si potesse ottenere. Come accaduto a Fagan, anche la seconda stagione di Dalglish si rivelò avara di trofei, e il campionato andò all’Everton, con i Reds al secondo posto. Ian Rush fece anche la sua breve apparizione alla Juventus, prima di tornare di corsa ai pub di Liverpool e proferire l’immortale ‘I couldn’t settle in Italy – it was like living in a foreign country‘. E a vincere. Il Liverpool di Dalglish vinse infatti ancora il titolo 1987/88 (senza Rush), la Charity Shield del 1988, l’FA Cup e Charity Shield 1989, il titolo 1989/1990, la Charity Shield 1990. Nel mezzo, due famosissime sconfitte: quella in FA Cup contro il Wimbledon nel 1988 e quella in campionato, nella stagione 1988/89, superati sul filo di lana dall’Arsenal, con l’ultima decisiva partita persa per 0-2 ad Anfield con i salti di gioia di Michael Thomas all’ultimo minuto. 1988/89, anno che vide la vittoria in FA Cup, competizione la cui semifinale tra Liverpool e Nottingham Forest era in programma all’Hillsborough di Sheffield.
Hillsborough, 14 Aprile 1989. 94 vittime, poi 95, infine dopo quattro anni 96, quando un uomo rimasto in coma morì. 96 tifosi del Liverpool schiacciati nella Leppings Lane di Hillsborough, la fine del calcio inglese delle folle oceaniche, il rapporto Taylor, le menzogne della polizia dello Yorkshire che finalmente, negli ultimi tempi, stanno venendo a galla, per rendere almeno giustizia a quelle 96 persone morte seguendo la loro squadra del cuore, così come successo anni prima ai tifosi della Juventus. L’Hillsborough Memorial di Anfield è luogo in cui andare a rendere omaggio a quei tifosi, magari lasciando un mazzo di fiori, o la sciarpa della propria squadra del cuore, non importano i colori, ne vale la pena. La finale di FA Cup. giocata poche settimane dopo, vide la vittoria per 3-2 sull’Everton ai supplementari, un’emozionante minuto di silenzio e un You’ll Never Walk Alone da far tremare tutte le ossa del corpo. Il titolo conquistato la stagione successiva, nel 1989/90, è incredibilmente l’ultimo per i Reds, che da allora resteranno all’asciutto, bloccati a quota diciotto e recentemente superati dal Manchester United. Dalglish si dimise, tra lo stupore di tutti, a stagione 1990/91 in corso, adducendo come ragione la troppa e ormai insostenibile pressione. Andò ad allenare il Blackburn Rovers, con cui vincerà un titolo incredibile grazie alle prodezze di Alan Shearer. Vale la pena ricordare qualche giocatore di quel Liverpool targato Dalglish, oltre ai già citati Rush e Hansen: Peter Bearsley, Steve Nicol, Ray Houghton, Bruce Grobbelaar, John Barnes. Il testimone ad Anfield venne raccolto da Graeme Souness, durante il cui periodo alla guida del club il Liverpool vinse una FA Cup, nel 1992, con il giovane Steve McManaman nominato man of the match. Souness tuttavia in campionato non riuscì ad andare oltre due sesti posti e si dimise nel 1994, rimpiazzato da Roy Evans, veterano del boot room che come ormai avrete capito influenzò tantissimo la storia del Liverpool.
Evans vinse una misera League Cup nel 1995, pochissimo per un club, per QUEL club. In campionato ottenne buoni piazzamenti, e per un certo periodo della stagione 1996/97 il Liverpool si trovò in testa alla classifica, salvo poi finire quarto. Quella squadra diventò però famosa tra i media e i tifosi come la squadra degli Spice Boys, in un’epoca dominata dalle Spice Girls: gli Spice Boys, termine coniato dal Mirror, del Liverpool (Fowler, Redknapp, McManaman, James su tutti) divennero famosi per la vita fuori dal campo, fatta di donne e divertimenti vari, e furono i pionieri di un’era intera di spice boys, termine che venne infatti usato di lì in avanti per tutti quei casi di calciatori-star tipici del nuovo secolo. Evans lasciò nel Novembre del 1998, dopo che gli fu affiancato il francese Gerard Houllier in una sorta di duomvirato; facendo sua e adattando la massima di Churchill secondo cui la democrazia funziona quando a decidere sono in due e uno è malato, Evans fece un passo indietro ritenendo che la situazione fosse solo portatrice di confusione; Houllier diventò quindi manager in solitaria, restandolo fino al 2004. Raccolse i frutti del vivaio che stavano sbocciando, oltre agli ormai affermati Robbie Fowler, McManaman (che tuttavia lasciò presto, direzione Real Madrid), e i giovani Michael Owen, Jamie Carragher, Steven Gerrard, a cui aggiunse pian piano i vari Babbel, Hyypia che diventerà capitano dei Reds.
Houllier ci mise tre anni, ma riportò il Liverpool in alto, più di quanto i suoi due predecessori fecero. Terzo posto nel 2000/01, la stagione delle tre coppe: Coppa di Lega, FA Cup (2-1 all’Arsenal con doppietta nel finale di Owen, che quell’anno si aggiudicherà il Pallone d’Oro) e Coppa UEFA (vinta con un memorabile 5-4 contro i baschi del Deportivo Alaves). Quel 2001 si concluse in modo fantastico con la vittorie delle due supercoppe, diretta conseguenza della stagione precedente: il Charity Shield e la Supercoppa Europea. Un secondo posto nel 2001/02 e la vittoria della Coppa di Lega 2003 furono gli ultimi due sussulti di Gerard Houllier, che nonostante i migliori risultati dall’era Dalglish fu licenziato a fine 2004. Quel titolo mancava troppo ai tifosi, e la crescente insoddisfazione portò il francese lontano da Anfield Road; venne sostituito da Rafael Benitez, che col Valencia aveva stupito la Spagna prima e l’Europa poi. In campionato le cose non migliorarono, anzi peggiorarono perchè il quarto posto ottenuto nell’ultima stagione di Houllier divenne un quinto posto finale, ma in Coppa Campioni, divenuta nel frattempo Champions League, il Liverpool sorprese tutti, eliminando in semifinale il super-Chelsea dei rubli e di Mourinho e in finale ribaltando uno 0-3 per il Milan, strafavorito e pieno di stelle, e vincendo la coppa ai rigori. Se si osserva attentamente quella squadra, si capirà che Benitez fece un mezzo miracolo; Gerrard e Xabi Alonso unici campioni veri (Owen aveva salutato la compagnia e passato al Real Madrid) e il contorno di tanti ottimi giocatori ma non al livello di quelli che potevano schierare le avversarie. L’anno successivo, Supercoppa Europea, FA Cup e Community Shield completarono il palmares dello spagnolo, che perderà anche una finale di Champions, sempre contro il Milan.
Il resto è storia recente. Benitez, poi Roy Hodgson, poi ancora il ritorno di Kenny Dalglish e la nuova proprietà made in USA, i soldi spesi un po’ inopinatamente per i Carroll, Downing, Henderson etc., dopo averne incassati 50 milioni (di pounds) per la superstar spagnola Fernando Torres. Preferiamo dunque terminare parlando del simbolo del club. Come detto, in origine era solo il Liver bird, simbolo della città; nel 1992, per il centenario del club, venne però commissionato un nuovo stemma, che avrebbe dovuto contenere un riferimento alle Shankly Gates, con la scritta “You’ll never walk alone”. L’anno successivo vennero aggiunte le due fiamme, simbolo dell’Hillsborough Memorial in cui una fiamma rimane accesa constantemente in memoria delle 96 vittime. Questo simbolo così descritto rimane ancora oggi, anche se per questa stagione sulle maglie è tornato a campeggiare il solo Liver, in puro stile anni ’70. You’ll never walk alone, la canzone da stadio per eccellenza, dal musical Carousel agli spalti di Anfield Road, passando per un’interpretazione del 1963 di Gerry & the Pacemakers (il cui leader intonò il pezzo il giorno della finale di coppa del 1989), gruppo di Liverpool che aveva lo stesso manager e lo stesso produttore dei Beatles (Epstein e Martin). Fu proprio negli anni ’60 che la canzone cominciò a risuonare ad Anfield Road, e creare quell’atmosfera da brividi che ancora oggi colpisce chi visita lo stadio dei Reds. Stadio che, dopo ipotesi di trasferimento, verrà rinnovato, con un aumento della capienza ma senza il ventilato trasferimento che avrebbe privato il calcio mondiale di uno dei suoi templi.
“Liverpool are magic“, disse Emlyn Hughes; e nonostante che non siamo tifosi del Liverpool, non ce la sentiamo proprio di dissentire.
Trofei
- First Division: 1900–01, 1905–06, 1921–22, 1922–23, 1946–47, 1963–64, 1965–66, 1972–73, 1975–76, 1976–77, 1978–79, 1979–80, 1981–82, 1982–83, 1983–84, 1985–86, 1987–88, 1989–90
- F.A. Cup: 1965, 1974, 1986, 1989, 1992, 2001, 2006
- League Cup: 1981, 1982, 1983, 1984, 1995, 2001, 2003, 2012
- Charity/Community Shield: 1964*, 1965*, 1966, 1974, 1976, 1977*, 1979, 1980, 1982, 1986*, 1988, 1989, 1990*, 2001, 2006 (* shared)
- Coppa dei Campioni/Champions League: 1977, 1978, 1981, 1984, 2005
- Coppa UEFA: 1973, 1976, 2001
- Supercoppa Europea: 1977, 2001, 2005
Records
- Maggior numero di spettatori: 61.905 v Wolverhampton Wanderers (FA Cup, 2 Febbraio 1952)
- Maggior numero di presenze in campionato: Ian Callaghan, 640
- Maggior numero di goal in campionato: Roger Hunt, 245