La storia dei club: Plymouth Argyle

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Plymouth Argyle Football Club
Anno di fondazione: 1886
Nickname: the Pilgrims
Stadio: Home Park, Plymouth
Capacità: 17.669

Quando madrenatura ha creato questa parte di terra, crediamo avesse già in mente cosa farne: un porto. Una spettacolare baia alla foce dei fiumi Tamar e Plym su cui 3.000 anni fa venne fondata una piccola comunità, specializzatasi poi negli scambi commerciali con il resto d’Europa, come era inevitabile. Questa città veniva chiamata Sutton (Sutona) e così rimase fino al 1200 circa. Intorno al 1230 comparve la nuova denominazione: Plymmue. Ovvero, Plymouth. Quel che non cambierà mai sarà la vocazione marinaresca della città, che era, è e resterà prima di tutto un porto, come detto. Ad oggi, il più grande porto militare dell’Europa occidentale, l’HMNB (Her Majesty’s Naval Base) Devonport. In passato, il porto da cui nel 1620 salparono alla volta del nuovo mondo i puritani, perseguitati da quella Chiesa d’Inghilterra che intendevano riformare. Arrivarono sulla costa nordamericana su una nave chiamata Mayflower e vi fondarono il secondo insediamento inglese dopo Jamestown, Virginia, a cui diedero il nome di Plymouth. Passeranno alla storia come Padri Pellegrini e il puritanesimo sarà uno degli ingredienti base della cultura dei futuri Stati Uniti d’America. E “il porto di Plymouth” è anche il titolo di un dipinto di Norman Wilkinson che il costruttore del Titanic, Thomas Andrews, fissò in silenzio nella sala fumatori mentre affondava con la sua nave, che pure era partita da Southampton. Ah, last but not least, mayor di Plymouth fu nel 1581 un celebre personaggio nativo di un villaggio vicino, ovviamente navigatore: Sir Francis Drake.

Sì, ok, la navigazione, il porto, tutto molto bello, ma qui parliamo di football e dubitiamo che Sir Drake si interessasse all’arte pedatoria, anche perchè svantaggiato dal piccolo dettaglio di essere nato 300 anni prima del nostro amato sport. Plymouth, Devon(shire). La città detiene un curioso primato nell’ambito calcistico inglese: è, con i suoi 261.000 abitanti, la più grande a non aver mai visto la massima serie. Il Plymouth Argyle ha sempre vissuto un’onesta esistenza in Football League, e prima ancora in Southern League. Il club venne fondato nel 1886 da due studenti nativi della Cornovaglia, William Pethybridge e Francis Grose, che, giunti a Plymouth dopo aver giocato a calcio al college, si ritrovarono senza squadra: da lì l’idea di fondarne una, visto che l’unica esistente all’epoca, il Plymouth FC, non li accettò tra le proprie fila.  Venne scelto il nome di Argyle Football Club, che rimase tale fino al 1903. Strano nome, Argyle. Intorno a questo punto si addensa qualche nube. Sappiamo dalla documentazione che la scelta venne fatta “by local application”, il che potrebbe essere connesso ad una strada, Argyle Terrace, anche se nessuno dei membri fondatori risiedeva lì. Ma la scelta potrebbe essere stata, semplicemente, casuale. Citando l’ottimo Greens on Screen, nessuno dopo sei anni si ricordava l’origine del nome “because it was just plucked out of the air and chosen because it was suitably up-market for the club members social standing, as was middle-class Argyle Terrace”. Meno probabile che fosse richiamo all’Argyll & Sutherland Highlanders, un reggimento dell’esercito la cui squadra calcistica era molto forte all’epoca. Suggestivo, un mito che si diffuse intorno agli anni ’30, ma i periodi temporali non coincidono: nel 1886, la squadra del reggimento non era ancora famosa, così come non stazionava in zona il reggimento stesso. La vera particolarità risiede nel fatto che, a differenza di molte altre squadre, il Plymouth Argyle ha mantenuto nel nome attuale la denominazione originale.

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“The visit of Plymouth Argyle will be best remembered by the outstanding personality and genius of Moses Russell. His effective style, precise judgement, accurate and timely clearances, powerful kicking and no less useful work with his head…one of the most wonderful backs and one of the brainiest players ever seen on the football field”. Piccolo salto temporale, nel mezzo del quale il club vinse anche una Southern League (1912/13). A parlare così non è un qualche quotidiano del sud-est dell’Inghilterra, la cui squadra locale aveva affrontato il Plymouth. Parole e musica appartengono allo Standard of Buenos Aires. Buenos Aires? Sì. Nel 1924 i Pilgrims (Pellegrini, soprannome scontato) imitarono i loro antenati e salparono attraverso l’Atlantico, solo che invece che nel New England si diressero verso il Sud America, Uruguay e Argentina, a porto della nave Avon. Un’avventura. Sei anni prima del vittorioso mondiale del 1930, gli uruguaiani caddero per 4-0 sotto i colpi di Bob Smith (doppietta), Jimmy Logan e Jack Leslie. Erano previste anche una serie di amichevoli contro club argentini, tra cui quella celebre contro il Boca. Un glorioso 1-1, con tanto di invasione di campo all’1-0 Xeneizes. Partita sospesa, tutti negli spogliatoi. Rientrati in campo, rigore per i Pilgrims: Patsy Corcoran, timoroso per la sua incolumità, decide di sbagliarlo. La notizia giunge all’orecchio di Moses Russell, il capitano, meno timoroso: quando il gioco riprende (c’era stata una nuova invasione, ‘sti argentini…), Russell spinge via Corcoran e calcia in rete il rigore. 1-1, tutti a Plymouth.

Memorie di un viaggio lontano...

Memorie di un viaggio lontano…

Tornati in patria, i Pilgrims, entrati nel frattempo nella neonata Third Division (South) della Football League, giunsero per sei stagioni consecutive (dal 1921/22 al 1926/27) secondi. Probabilmente un record, che alla sesta occasione avrà fatto uscire qualche improperio in stretto accento scozzese al manager Bob Jack. Jack, da Alloa, scozzese come tanti a quell’epoca, dopo esserne stato giocatore fu anche manager (o meglio, secretary-manager per gli standard del periodo) del Plymouth per “soli” 27 anni (suo figlio David, che sarà il primo giocatore nella storia a segnare a Wembley, cominciò la carriera nel club). Giusto per dire: le sue ceneri vennero sparse sul terreno di gioco di Home Park, e questo chiude praticamente ogni discussione sull’importanza che ebbe per l’Argyle, e viceversa. Già, Home Park. Dal 1901 sede delle gioie (rare) e dei dolori dei tifosi del Plymouth, oggi un moderno gioiellino da 17.000 posti a sedere. The Theatre of Greens, un azzardato rimando a impianti mancuniani, e un richiamo alle tradizionali divise verdi della squadra di casa. Divise verdi che da sempre contraddistinguono il club, figlie di un’eco di cultura celtica e insulare che in Devon è da sempre forte (e in fondatori, come detto, erano originari della Cornovaglia, terra di celti e tradizioni celtiche), e mai abbandonate, nonostante in Inghilterra si ritenga il verde colore sfortunato da indossare: il Plymouth rimane così una delle poche squadre d’Albione ad adottare tale colore.

Finalmente, nel 1930, la promozione in Division Two. 20.000 nipoti dei Padri Pellegrini affollarono in quella stagione Home Park, segno di un’affezione alla squadra che non verrà mai meno, nonostante i tanti (troppi) tempi bui che ridurranno in seguito le presenze sugli spalti. Jack si dimise nel 1937, ma per una ventina d’anni, anche se di mezzo vi sarà la guerra, i Pilgrims mantennero senza grossi affanni la seconda divisione. Almeno fino al 1950, quando cominciò il decennio che vide l’Argyle due volte retrocesso e due volte promosso, facendo lo yo-yo tra seconda e terza divisione, i due campionati da sempre più “amati” dal Plymouth perchè se è vero che il club non conoscerà mai la massima serie, è anche vero che in quarta divisione ci arriverà solo recentemente, nel 1995. Sono gli anni del bomber Wilf Carter, secondo solo allo scozzese Sammy Black nella classifica dei marcatori all-time in verde.

Il Plymouth Argyle 1935. A centro, Robert

Il Plymouth Argyle 1935. A centro, Robert “Bobby” Jack

Gli anni ’60 non diedero solo una scossa al mondo, le notti della Swingin’ London e i Beatles, ma regalarono due momenti indimenticabili anche al Plymouth. Il primo, più banale, il raggiungimento della semifinale di coppa di Lega, dove persero contro il Leicester City. Eh vabbè, capita, ma si può sempre riprovare. Ma provate a battere questa, che sarebbe il secondo “momento di gloria” del decennio. Primavera del 1963, i Beatles rilasciano il loro primo album, “Please Please me”, in U.K, a Birmingham, Alabama, un pastore nero di nome Martin Luther King è promotore di una campagna anti-segregazione non violenta (verrà incarcerato) e la Jugoslavia si proclama uno stato socialista con presidente a vita il generale Tito. Siamo in Polonia. Il Plymouth Argyle vi era stato invitato per giocare una partita, che avrebbe dovuto scaldare il pubblico prima di una gara di ciclismo. Un aperitivo calcistico. Solo che i Pilgrims si trovarono di fronte 100.000 spettatori, la metà degli abitanti di Plymouth! Il più grande pubblico ad aver mai assistito a una partita dell’Argyle. In Polonia….

Se i 100.000 polacchi sono difficili da dimenticare, veder giocare dal vivo il più grande di sempre non deve essere proprio brutto. Facciamo un nuovo salto temporale al 1973. Questa volta siamo a Home Park, e in amichevole arriva il Santos. Suggestivo, specie perchè in quel Santos gioca un certo Edson Arantes do Nascimento, noto anche come Pelè. Incredibilmente, vincono i Pilgrims, all’epoca club di terza divisione: 3-2, con reti di Mike Dowling, Derek Richard (nativo di Plymouth) e Jimmy Hinche, i quali poterono dire per il resto della loro vita di essere stati nello stesso tabellino marcatori di Pelè, che quel giorno segnò su rigore. Per il resto, gli anni ’70 furono segnati nuovamente da una promozione-retrocessione, dai goal di Billy Rafferty e Paul Mariner (visto anche all’Arsenal, tornerà nella costa sud come allenatore) e dall’esordio di un ragazzo di Broadwindsor, Dorset, tale Kevin Hodges che giocherà più di 600 partite con la maglia verde sulle spalle, un record. Ah, e da un’altra semifinale di coppa di Lega, dove i Pilgrims si scontrarono questa volta con il Manchester City (terza contro prima divisione): l’1-1 di Home Park venne facilmente convertito in 2-0 a Maine Road dai Citizens di Summerbee, Lee, Bell, Law e Marsh, una squadra fortissima che non vinse un tubo, tra parentesi.

PELE scores from the penalty spot against Plymouth's Melia Aleksic to make the score 3-1 to Plymouth Argyle

PELE scores from the penalty spot against Plymouth’s Melia Aleksic to make the score 3-1 to Plymouth Argyle

Fino al 1986 il club trascorse una tranquilla decade in Division Three, con un’unica eccezione, il fatidico 1984. L’anno della cavalcata in FA Cup, con doppio prestigioso successo su West Bromwich e Derby County (andò a vincere a Baseball Ground) prima di arrendersi al Watford in una semifinale tiratissima (0-1) giocata a Villa Park. Rimane l’avanzamento maggiore in coppa avuto dal club nella sua storia, con qualche rimpianto. L’anno seguente arrivò sulla panchina della squadra, guidata in attacco dal biondo Tommy Tynan, uno firmato da Bill Shankly ai tempi del Liverpool in quanto vincitore di un contest organizzato dal Liverpool Echo, Dave Smith, che fece quello che era richiesto fare a un allenatore dei Pilgrims fino a quel momento: conquistare la promozione dalla terza serie, il massimo alloro della storia del club, ripetutamente conseguito in diverse epoche (sad but true, di coppe manco l’ombra). Forse stanchi di conquistare sempre e solo promozioni da Division Three a Division Two, i Pilgrims ebbero la non brillante idea di inaugurare la quarta serie, che comunque, per farli sentire a casa, era stata nel frattempo rinominata Third Division a causa della nascita della Premier. Neil Warnock riuscì nella promozione immediata, ma il ritorno nei bassifondi era solo rimandato. Ah, nel mezzo, la colossale rissa in quel di Chesterfield, passata alla storia come Battaglia di Saltergate.

A cambiare le cose fu un altro scozzese, come Jack e Smith. Paul Sturrock. Detto Luggy, dallo scozzese lugs, orecchie, di cui in effetti è superdotato, in pochi anni prese i Pilgrims dai bassifondi della quarta divisione e li portò in Championship, sebbene non festeggiò la seconda promozione (in tre anni) perchè chiamato nel frattempo dal Southampton. Tornerà, e a dire il vero non ebbe molta fortuna dopo l’abbandono del club, ma verrà sollevato dall’incarico inutilmente, perchè in quella stagione, cominciata male, la squadra retrocederà. A succedergli fu Bobby Williamson, che inaugurò le prime di sei stagioni consecutive in Championship, dove tra gli altri sederono sulla panchina dell’Argyle Tony “TheNeverRelegatedManager” Pulis e l’inarrivabile Ian Holloway (a proposito di personaggi, il Plymouth è anche l’unico club allenato in carriera da Peter Shilton, dal 1992 al 1995 in qualità di player-manager, leggenda fino a prova contraria della Nazionale, un po’ meno della panchina). Come appena accennato, dopo sei stagioni la nuova retrocessione, a cui ne farà immediatamente seguito un’altra che portarono i Pilgrims dove sono oggi, ovvero in League 2. In questo percorso all’inverso non fu certo d’aiuto la sottrazione di 10 punti comminata dalla Football League a causa dei problemi economici del club, che era finito in amministrazione controllata e che si ritrovò così in ultima posizione. La retrocessione poi, beffa delle beffe, fu praticamente sancita sul campo dell’Exeter, in un derby del Devon, insieme a quella con il Torquay la rivalità più sentita per i tifosi dei Pilgrims (“We hate Exeter, say we hate Exeter…”).

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Chissà cosa riserva il destino al Plymouth, terra di viaggiatori, discendenti da gente che ha solcato l’Atlantico verso mondi sconosciuti. E comunque, quelli erano certamente viaggi più facili di una trasferta a Carlisle un mercoledì sera di dicembre…

(Credits: Wikipedia, Greens On Screen, The Beautiful History)

Record

  • Maggior numero di presenze in campionato: Kevin Hodges, 530
  • Maggior numero di reti in campionato: Sammy Black, 176
  • Maggior numero di spettatori: 43.596 v Aston Villa (Second Division, 10 Ottobre 1936)

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