La storia dei club: Derby County

Derby, Derbyshire. East Midlands. Capoluogo di contea fino al 1997, quando è stata trasformata in unitary authority, pur rimanendo nominalmente parte del Derbyshire stesso, 240.000 abitanti circa adagiati sulle sponde del Derwent, a due passi da Nottingham e Leicester. Il nome della città rimane di etimologia incerta, anche se la leggenda più affascinante a riguardo lo collega a Djura-by, in anglosassone Deoraby, facendone quindi la città dei cervi (“villaggio dei cervi”); altri lo fanno risalire al latino Derventio. Dispute sul nome a parte, Derby si sviluppa pian piano, dall’epoca romana in avanti anche se, come tutte le città, l’impulso decisivo per la crescita demografica lo ha solo nel corso della rivoluzione industriale, che qui vide l’affermarsi del tessile (l’industria che fece da motore per la rivoluzione) anche grazie ad alcune invenzioni che proprio nel Derbyshire videro la luce. Prima però c’era stato il periodo della guerra civile del XVI secolo, che vale la pena menzionare solo per dire che Derby fu una delle roccaforti delle truppe parlamentari, che si opponevano ai realisti fedeli agli Stuart. Tornando all’industria, vale la pena menzionare la Rolls-Royce, e, in tempi più recenti, la Toyota, entrambe presenti con stabilimenti in città al pari della Bombardier, industria ferroviaria canadese (e la ferrovia è sempre stata una costante nella storia di Derby, tant’è che la Midland Railway per anni ha avuto sede proprio qui). Derby dal 1294 invia due membri al Parlamento di Londra, attualmente secondo la divisione creata nel 1950 in due distretti elettorali, Derby North e Derby South entrambi al momento Labour (Derby South elegge dal 1983 la stessa MP, Margaret Beckett).
Bene, questa l’introduzione. Ora è il tempo di dedicarci al Derby County Football Club, la squadra cittadina, due volte campione d’Inghilterra.

Derby_County_F.C._logoDerby County Football Club
Anno di fondazione: 1884
Soprannome: the Rams
Stadio: Pride Park, Derby
Capacità: 33.597

Come spesso accade, ormai lo abbiamo visto nelle precedenti storie, esiste una forte connessione tra squadra di calcio e cricket. Nello specifico il Derbyshire County Cricket Club ne veniva, in quel 1884, da dieci sconfitte su dieci, e, per usare un eufemismo, il pubblico ne era tutt’altro che entusiasta. Il pubblico era invece particolarmente attratto da un nuovo sport, il football, che stava prendendo piede anche nel Derbyshire tanto che, un anno prima, era nata la Derbyshire Football Association. L’iniziativa di collegare alla squadra di cricket una di calcio, in modo che entrambe beneficiassero di ciò, fu presa da William Morley, impiegato nella tesoreria della Midland Railway, e da altri compagni d’avventura che presentarono alla FA della contea la richiesta di iscrivere una squadra chiamata Derbyshire County Football Club. Al rifiuto di questa, si dice per il nome troppo lungo, i nostri risposero proponendo Derby County Football Club, nome che venne accettato: nasceva così la squadra di calcio che conosciamo ancora oggi. Primo impianto di gioco lo stadio del cricket, il County Ground (che ancora oggi ospita le partite del Derbyshire County CC), prima divisa da gioco un’improbabile kit azzurro, marrone e ambra (rimarrà per una decina d’anni).

Fatta la squadra, ora bisognava darle i giocatori, e la politica trasferimenti, chiamiamola con termine moderno per comodità, fu aggressiva, mirata a strappare le “star” delle vicine squadre preesistenti. I risultati non arrivarono subito se è vero come è vero che, nell’esordio in competizioni ufficiali (FA Cup 1885) il Walsall Town bastonò il Derby County 7-0. Le cose andarono decisamente meglio nell’edizione successiva, soprattutto perchè il County sconfisse l’Aston Villa, accreditata come una delle squadre più forti in circolazione: quella vittoria (era un secondo turno, nel terzo il Derby fu eliminato dal Small Heath) rimase talmente impressa nella mente dei Villans che, quando a McGregor, dirigente del club di Birmingham, venne l’idea di creare la Football League nel 1888, il Derby County fu una delle dodici fondatrici. L’esordio fu dolce: sotto 0-3 a Bolton, il Derby rimontò e “doppiò” il Wanderers andando a vincere 6-3. Ma poi qualcosa si inceppò e il club incappò in una serie di otto sconfitte consecuitive che, sebbene verrà eguagliato, rimane ad oggi un record negativo per il club, che terminò quel primo campionato al decimo posto. Nel 1889 il Derby spiazzò tutti assicurandosi le prestazioni di John Goodall, uno degli invincibili del Preston North End, che aiutò il County prima a raggiungere un settimo posto e poi…a non finire ultimo la stagione successiva: i goal di Goodall infatti compensarono una difesa che dire pessima è un eufemismo (81 goals subiti in 22 partite era imbarazzante anche all’epoca, quando si segnava parecchio). Era il 1890/91, e il Derby County si accingeva ad assorbire il Derby Midland, l’altra squadra cittadina.

Il 1891/92 venne concluso al decimo posto, nuovamente un risultato non eccezionale, ma viene ricordato per un fatto: durante la stagione, infatti, a causa di una disputa tra il club e la società proprietaria del County Ground, il Derby si trovò a dover giocare una partita al Baseball Ground, quello che sarebbe poi diventato a tutti gli effetti il suo stadio. Ecco, se il 1891/92 viene ricordato quasi solamente per questo curioso episodio, la stagione successiva è quella dell’esordio di un giovane ragazzo di 18 anni nativo del Worcestershire, Steve Bloomer, unanimemente riconosciuto come il più grande talento ad aver indossato la maglia dei Rams, che andava ad aggiungersi al già presente Goodall, primo giocatore del club ad indossare la maglia della Nazionale. L’epoca di Bloomer portò al Derby County….zero trofei: sfiorati, a volte vicini, ma mai quel tanto che bastava per mettere in bacheca del silverware, dell’argenteria. Ricapitoliamo: un secondo posto dietro all’Aston Villa (1895/96), due terzi posti (1893/94 e 1896/97), due semifinali di FA Cup (1896 e 1897), due finali (1898 e 1899), perse rispettivamente contro i vicini di casa del Nottingham Forest (1-3) e contro lo Sheffield United (1-4) furono quanto di meglio il Derby County di Bloomer e Goodall potè offrire. Fuori dal campo, però, due eventi segneranno la storia del club: il passaggio alle divise bianche con pantaloni neri (1894) e il trasferimento, questa volta definitivo, al Baseball Ground (1895), a cui andrebbe aggiunto per dovere di cronaca la nomina di W.D. Clark ad allenatore, il primo nella storia dei Rams, lo stesso anno del passaggio del club a Limited Company(1896). John Goodall lasciò il Derby nel 1900.

Il primo manager a tempo pieno del Derby, uno dei primi nella storia del calcio (le decisioni sulle formazioni etc venivano solitamente prese da un comitato) fu Harry Newbould, nominato proprio nel primo anno del secolo. Se in campionato il massimo che riuscì a fare fu un sesto posto, soddisfazioni sembravano poter arrivare dalla coppa. Una semifinale nel 1902, poi finalmente un’altra finale nel 1903, la terza in pochi anni. Ma, ancora una volta, la gloria si fece attendere e il Derby County incappò nella più ampia sconfitta nella storia delle finali di FA Cup, uno 0-6 contro il Bury al Crystal Palace. L’incerta situazione economica costrinse il club a cedere Steve Bloomer al Middlesbrough, decisione presa sia contro la volontà del giocatore sia contro quella di Newbould, che si dimise per assumere le redini del Manchester City. Un brutto presagio che portò all’inevitabile, ovvero alla prima retrocessione del Derby County, che nel 1907 terminò diciannovesimo salutando la First Division. L’immediata promozione sembrava essere alla portata, eppure innumerevoli tentativi andarono a vuoto, nonostante il talento non mancasse. Alf Bentley, il sostituto di Bloomer, che formava il nucleo del trio delle “Busy B’s“, ovvero Bentley stesso, Horace Barnes e Jimmy Bauchop; e poi nuovamente Bloomer, che 35enne tornò al suo Derby e le B aumentarono a cinque, The Five Busy Bees (ai tre sopracitati, e a Bloomer, va aggiunto Frank Buckley). Nonostante le Bees segnassero a raffica, il Derby County terminò al massimo al quarto posto e Bentley fu ceduto al Bolton Wanderers.

Bloomer

Nonostante l’importante cessione, finalmente il County riconquistò dopo cinque stagioni la massima serie, una stagione che vide Bloomer segnare il suo 300esimo goal con la maglia del Derby. Fu una parentesi breve, anche se non brevissima, quel ritorno in First Division: un settimo posto nel 1912/13 fu infatti salutato con gioia, ma la stagione successiva la nuovo retrocessione smorzò gli entusiasmi, a cui contribuì pure il declino di Bloomer (solo cinque partite, ormai quarantenne). Il Derby ripartì così dalla seconda divisione non solo senza Bloomer (vincerà una Copa del Rey da tecnico del Real Union, squadra della stupenda Irun, Paesi Baschi) ormai ritiratosi ma anche senza Horace Barnes, che venne ceduto al Manchester City per la cifra record di 2.500 sterline; il manager dell’Arsenal, Knighton, efficacemente parlò così di quel trasferimento: “Men argued with each other in pubs up and down England, not about the menace of the Kaiser’s steel-helmeted hordes but about the price paid to Derby County for Horace Barnes“, in un momento storico in cui la vita umana, fragile come una foglia in guerra (per usare una metafora ungarettiana), aveva ben altro valore che quello calcistico. L’ultimo campionato prima dello scoppio della guerra segnò comunque il ritorno del County in massima serie, e per i successivi quattro anni questo fu tutto. Lo stesso Bloomer, durante le ostilità, fu fatto prigioniero in Germania.

Il post-guerra cominciò con il County in First Division, ma nuovamente la parentesi si sarebbe rivelata di breve durata: due stagioni appena, a cui fecero seguito cinque stagioni in purgatorio. Se non altro il periodo servì a riorganizzare la squadra, che vivrà tra le due guerre la sua prima stagione d’oro. Prima c’era però da conquistare la promozione, compito per il quale venne chiamato al timone George Jobey, già manager dei Wolves vincitori di una Third Division ma in quel momento…gestore di un hotel, dopo l’addio alla squadra del Black Country. Jobey si fece tentare dai Rams, e chissà se quando accettò di lasciare l’hotel per ritornare al calcio sapeva in cuor suo che a Derby sarebbe rimasto non due o tre anni, ma fino al 1941 (e non terminò benissimo, accusato di pagamenti illegali ai giocatori, con la conseguente sospensione da parte della FA e, dopo lo sconto della sanzione, un breve ritorno al Mansfield Town). Tra i primi acquisti di Jobey l’implacabile centravanti Harry Bedford, dal Blackpool, a cui si aggiungerà, sempre prelevato dal Blackpool, Jimmy Gill: i due formeranno un’ottima coppia d’attacco. La promozione fu, ovviamente, conquistata: si apriva una lunga serie di stagioni in First Division.

Baseball Ground

Il periodo di Jobey, per quanto sia ricordato come la prima golden era del Derby, non portò in dote nessun trofeo, ma “solo” due secondi posti finali (1929-30 e 1935-36) e una semifinale di FA Cup nel 1933, persa per 2-3 contro il Manchester City.  Uno dei motivi per cui il Derby di Jobey non vinse nulla fu probabilmente la difesa: basti pensare che, nella stagione del secondo posto (la prima delle due) a fronte di ben 90 goal segnati il County ne incassò 82 (!), e anche se non era l’epoca delle difese solide (e in parte in England non lo sarà mai) il dato è comunque impressionante. L’attacco rimase invece molto prolifico, nonostante la cessione nel 1930 di Bedford al Newcastle United, cessione che permise a Jack Bowers, acquistato nel 1928 dallo Scunthorpe & Lindsey, di emergere e di non far rimpiangere l’ex Blackpool. E a proposito di emergere, in quegli anni iniziò a brillare anche la luce di Sammy Crooks, 408 partite nei Rams e 26 “caps” con l’Inghilterra nel periodo tra le due guerre. Nel 1934 venne anche acquistato Hughie Gallacher, formidabile giocatore del Newcastle prima e del Chelsea poi, che si aggiungeva oltre ai già citati Bowers e Crooks a Tom Cooper e Jack Baker, entrambi nazionali inglesi, e Dally Duncan, scozzese come Gallacher. Nonostante questa concentrazione di talento, i trofei al Baseball Ground (ristrutturato a fine anni ’20) latitavano. Ma mancava poco al trionfo, giusto il tempo di una tragedia mondiale che si concluse nel 1945.

Il primo trofeo del dopoguerra fu la FA Cup 1945/46. Il Derby County si presentava ai nastri di partenza con Ted Magner al posto di Jobey, e il manager in fretta e furia riorganizzò la squadra per presentarsi al via della competizione che, vista l’assenza del campionato, si disputava fino alle semifinali sui due turni (andata e ritorno). Dopo un solo turno (6-0 e 3-0 al Luton Town) Magner decise bruscamente di accettare l’offerta proveniente dal Metz e, fatti i bagagli, attraversò La Manica. Venne sostituito da Stuart McMillan, modesto giocatore negli anni ’20 ma già collaboratore di Jobey e quindi conoscitore dell’ambiente, per quanto questo possa valere. McMillan (che conquisterà anche un terzo e quarto posto, ma che non chiuderà benissimo come vedremo) diventerà il primo manager dei Rams ad alzare un trofeo, al cielo di Wembley, dopo aver battuto 4-1 il Charlton Athletic. Alla finale è legato un simpatico aneddoto: prima della partita il capitano Jack Nicholas fece visita a un campo rom. Perchè? Perchè la leggenda voleva che, avendo il club costruito il Baseball Ground su terreni sottratti ai nomadi, questi avessero lanciato sui Rams una maledizione secondo la quale mai avrebbero vinto la FA Cup. Verità o leggenda, la visita portò fortuna e il Derby County vinse l’FA Cup.

L’FA Cup 1946

Come dicevamo poco fa l’avventura di McMillan non terminò nel migliore dei modi: l’allenatore venne infatti licenziato dopo pochi mesi di…Second Division, dove il club era tornato dopo 27 anni di massima serie. Ma le cose continuarono a precipitare, e il Derby nel 1955 conobbe anche l’onta della Third Division: due sole stagioni, che tuttavia non devono essere state piacevoli, visto che si trattava della prima esperienza dei Rams al terzo livello del calcio inglese. Il ritorno in Second Division nel 1957/58 non portò grossi risultati: la First Division doveva aspettare, anzi, fu sempre più vicino lo spettro di una nuova retrocessione piuttosto che la promozione (tre 18esimi posti, un 17esimo, due 16esimi). Furono questi gli anni di Tim Ward (manager dal 1962 al 1967), ex giocatore del club dal 1937 al 1951 (ma si perse quasi tutta la campagna vittoriosa in FA Cup perchè al servizio della squadra delle BAOR (le forze armate britanniche che occupavano la Germania sconfitta). A questo punto bisogna creare l’atmosfera giusta per introdurre colui che sostituì Ward sulla panchina del Derby, che invertì quasi immediatamente la tendenza conquistando l’agognata promozione e che, nei cinque anni in sella al Baseball Ground cambiò la storia del club per sempre. Dall’Hartlepool United, con il fedele assistente Peter Taylor al seguito, arrivò nel Derbyshire Brian Howard Clough.

Molti considerano il periodo di Clough al Derby County decisivo nella carriera del manager: fu sicuramente il suo grande trampolino di lancio, e servì a mostrare alla Nazione sia di che pasta fosse fatto l’allenatore, sia che personaggio straordinario e controverso fosse l’uomo, destinato a segnare come pochi altri la storia del calcio d’albione. Clough e Taylor, che ancora oggi giganteggiano scolpiti davanti a Pride Park, si dice fossero stati suggeriti alla dirigenza dei Rams da Len Shackleton, The Clown Prince of Football, talentuoso, brillante, ironico ex-giocatore all’epoca giornalista. Il duo rivoluzionò la squadra: rimasero solo quattro giocatori della precedente gestione, Kevin Hector, Alan Durban, Ron Webster e Colin Boulton; a questi vennero aggiunti tra gli altri Roy McFarland, John O’Hare e Alan Hinton, che formeranno la spina dorsale del grande Derby fine anni ’60-primi ’70. Dopo un 18esimo posto alla prima stagione di Clough, l’arrivo di Carlin e soprattutto dell’ex Tottenham Dave Mackay fornirono la spinta decisiva alla squadra, che l’anno seguente vinse agevolmente la Second Division e tornò così in First. Mackay stesso venne nominato giocatore dell’anno, per capire l’impatto che ebbe (Clough lo trasformò in centravanti). La prima stagione in First fu a suo modo trionfale, specie visto le penose stagioni degli anni precedenti: un quarto posto finale, con una striscia di undici partite imbattuti con lo sfizio di raggiungere anche la vetta per qualche settimana. La posizione finale significò anche Europa, nello specifico la Coppa delle Fiere (l’antenata della Coppa UEFA), da cui però il club fu bandito quando la FA e la Lega lo trovarono colpevole di pagamenti irregolari e di anomalie finanziare che portarono perfino la dirigenza ad assumere un segretario (Stuart Webb del PNE) per monitorare le questioni amministrative.

Clough e Taylor festeggiano il titolo

Il nono posto del 1970/71 fu il preludio alla stagione successiva, che si rivelerà trionfale. Vennero acquistati Archie Gemmill dal Preston e Colin Todd dal Sunderland (170.000 sterline, mica bruscolini), e a quel punto la squadra era pronta, anche se a fine stagione Mackay salutò il Baseball Ground. Ma non c’era tempo per disperarsi, visto che c’era un titolo di campioni d’Inghilterra da conquistare. L’ultima giornata il Derby sconfisse il Liverpool tra le mura amiche per 1-0, il che significava Derby 58, Leeds Utd 57, Liverpool 56. Tutto finito? Macchè. Il solito calendario inglese, ingarbugliato come qualsiasi cosa veramente english (e ci sarebbero diversi esempi carini) voleva che sia Leeds che Reds avessero una partita da recuperare (il Leeds era giustificato avendo giocato la finale di FA Cup), i primi al Molineux di Wolverhampton, i secondi ad Highbury. Al Leeds bastava un pareggio, al Liverpool serviva la vittoria, al Derby pensarono fosse necessaria una vacanza: Clough se ne andò alle isole Scilly, Taylor portò la squadra a Maiorca, lontano (scaramaticamente?) da suolo di Sua Maestà. Il tutto funzionò, perchè il Leeds perse 2-1 a Wolverhampton mentre il Liverpool non andò oltre uno 0-0 in casa dell’Arsenal: mentre il Derby festeggiò a miglia e miglia di distanza il suo primo titolo d’Inghilterra, i tifosi invasero festanti le strade e le coccarde e sciarpe bianco-nere campeggiavano ovunque. Le acque, però, stavano per agitarsi irrimediabilmente.

Già nell’agosto del 1972 i primi screzi tra Clough e la dirigenza vennero a galla, a causa di una banale tournè nei Paesi Bassi in cui l’allenatore voleva portarsi la famiglia contro il volere del club: Clough se ne restò a casa e lasciò a Taylor il compito di guidare la squadra. Poi vi fu l’acquisto di David Nish, 225.000 sterline dal Leicester senza consultare la dirigenza, e le accuse di Clough ai tifosi, rei di “cantare solo verso la fine delle partite quando siamo un goal avanti. Li voglio sentir cantare quando stiamo perdendo”, con conseguente presa di distanza del presidente dalle parole del suo manager. In tutto ciò si giocava anche, con il campionato sacrificato sull’altare della Coppa dei Campioni che, a un certo punto, sembrava obbiettivo davvero alla portata. Dopo aver eliminato gli jugoslavi del Željezničar (squadra di Sarajevo) il Derby County venne sorteggiato contro il Benfica, la squadra di tal Eusebio: il 25 Ottobre 1972 al Baseball Ground i portoghesi vennero schiantati 3-0 già nel primo tempo, e lo 0-0 del ritorno sancì il passaggio del turno. Eliminato lo Spartak Trnava (più complicato del previsto) la semifinale mise di fronte ai Rams l’ostacolo Juventus. Ostacolo che si rivelò insormontabile, ma che, dopo il 3-1 per la Juve dell’andata, regalò una delle frasi più famose di Clough: “I will not talk to any cheating bastards“, riferito agli italiani (rei secondo lui di aver simulato e imbrogliato per tutto il corso della partita), di cui tra le altre cose mise in dubbio il coraggio nella Seconda Guerra Mondiale. Lo 0-0 del Baseball Ground significò eliminazione dal torneo.

Derby County-Real Madrid 4-1. Le Merengues vinceranno 5-1 al ritorno

Ma a questo punto tutta l’attenzione si spostò alle liti tra Clough e la dirigenza, specialmente il presidente Sam Longson. Alle cose già dette aggiungiamo che, sul finire della stagione del titolo, Clough e Taylor si dimisero per accettare la panchina del Coventry City, salvo tornare sui loro passi quando Longson gli offrì più soldi. L’inizio della stagione 1973/74 fu fatale per il futuro del duo sulla panchina dei Rams: i rapporti sempre più tesi tra Clough e Longson, con quest’ultimo che chiese al manager di smetterla di apparire in TV e scrivere sui giornali, il continuo operare di Clough sul mercato senza avvisare la dirigenza, portarono la situazione a un punto di non ritorno. Il 15 Ottobre 1973 Clough e Taylor presentarono le dimissioni. A questo punto tifosi, membri locali del parlamento e una varietà di personaggi vastissima cominciarono una vivace quanto inutile protesta per far sì che i due rimanessero; anche i giocatori mostrarono la loro insoddisfazione per l’esito della vicenda. Venne contattato Bobby Robson, ma preferì rimanere a Ipswich; a quel punto si pensò a Dave Mackay, fino a due anni prima giocatore del Derby poi diventuto manager prima dello Swindon Town poi dei rivali del Nottingham Forest. Mackay accettò e subentrò così a Clough, e nonostante un difficile iniziò condusse i suoi a un notevole terzo posto finale.

La stagione successiva si rivelò nuovamente un trionfo. Mackay aggiunse all’organico Francis Lee, già star nel Manchester City, e il County trionfò nuovamente in campionato. Un trionfo che, sebbene la squadra fosse per buona parte quella plasmata da Clough, va ascritto a Mackay: diamo a Dave quel che è di Dave. In UEFA il County si fermò agli ottavi, fermato dagli jugoslavi (bosniaci) del Velez Mostar. Colin Todd venne premiato, prima e unica volta nella storia dei Rams, come giocatore dell’anno: un difensore (come Daniel, giocatore dell’anno secondo i tifosi) nonostante la difesa fosse peggiorata rispetto a quella di tre anni prima (49 goals subito rispetto ai 33 con Cloughie). A questo successo all’inizio del 1975/76 venne aggiunta la Charity Shield, vinta 2-0 contro il West Ham: si apriva così una stagione che da un lato fu quasi trionfale (un double sfiorato), dall’altro aprì il declino in quanto fu l’ultima volta che il Derby si farà vedere nelle parti altissime della classifica di First/Premier (seguiranno un quinto posto e un ottavo in epoca Premier). La stagione (ne abbiamo parlato QUI dal punto di vista dei grandi sconfitti di quell’anno, il QPR) si concluse con il quarto posto in campionato, e con le semifinali di FA Cup, dove i Rams vennero estromessi dal Manchester Utd che poi incredibilmente perderà la finale contro il Southampton. In Coppa Campioni, invece, le cose non andarono altrettanto bene, e il Real Madrid ribaltò il 4-1 del Baseball Ground in terra iberica eliminando il Derby. Mackay sopravvisse ancora pochi mesi sulla panchina, e venne licenziato nel Novembre 1976.

Colin Murphy, allenatore della squadra riserve, subentrò a Mackay (si tentò anche di riportare Clough a Baseball Ground), ma il declino era iniziato e il piazzamento finale al quindicesimo posto era il peggiore dal ritorno nella top-flight division, per dirla con gli inglesi. Murphy subì la stessa sorte di Mackay e questa volta venne chiamato sulla panchina Tommy Docherty, già allenatore del Manchester United. Il manager scozzese prese le redini in un momento cruciale e non seppe farvi fronte: vi era infatti da ricostruire una squadra di successo (i vari Colin Boulton, Colin Todd, Archie Gemmill, Kevin Hector Charlie George e Leighton James lasciarono il club) e lui non seppe farlo, fallendo gli acquisti che avrebbero dovuto provvedere a quel ricambio generazionale necessario. Un dodicesimo posto, poi sul finire di una stagione che si concluderà col 19esimo posto Docherty lasciò, destinazione QPR, e al suo posto venne assunto Colin Addison, che nonostante un tentativo di rimpinguare la rosa con nuovi innesti non riuscì ad evitare l’inevitabile, ovvero la retrocessione, che capitò peraltro in un momento in cui il club era sull’orlo della crisi di nervi a causa di problemi dirigenziali, con accuse di corruzione che portarono numerosi sconvolgimenti dietro le scrivanie di Baseball Ground. Il Derby ritornava così, dopo tre titoli messi in bacheca in pochi anni, in seconda divisione. E il peggio doveva ancora venire…

Allison resistette sulla panchina dei Rams fino al 1982, sebbene i risultati non furono eccezionali e il tanto sperato immediato ritorno in First non si concretizzò. Proprio nell’82, con il club ormai in crisi finanziaria (era un’epoca diversa dalla nostra, ma i costi son più difficili da attutire in Second rispetto che alla First) e di risultati, venne chiamato sulla panchina Peter Taylor, lo storico assistente di Clough che solo qualche mese prima aveva lasciato il Forest del suo mentore affermando di volersi ritirare e che ora tornava in gioco, perdipiù nella squadra che Cloug lasciò sbattendo la porta. La tensione tra i due esplose in conflitto vero e proprio circa il passaggio di John Robertson dal Forest al County: da quel giorno i due non si parlarono più, e Clough sintetizzò il tutto con la frase “We pass each other on the A52 going to work on most days of the week. But if his car broke down and I saw him thumbing a lift, I wouldn’t pick him up, I’d run him over”. Taylor però si vendicò sul campo, vincendo uno scontro di FA Cup 2-0 al Baseball Ground e soprattutto portando fuori dal pantano il Derby, e conducendolo a un tranquillo 13esimo posto. La crisi economica però gravava fortemente sul club, e nemmeno Taylor potè farci nulla: venne allontanato sul finire di una stagione che si concluse con il Derby in Third Division, e fuori dal campo con il club salvato dal fallimento per il rotto della cuffia.

Derby-Forest, rivalità molto sentita

La luce però iniziò a comparire in fondo al tunnel. Fuori dal campo la famiglia Maxwell, imprenditori nell’editoria, rilevò il club; sul campo venne nominato manager Arthur Cox, già promosso con il Newcastle in Division One. Dopo una stagione di transizione (anche se il settimo posto in terza serie rimane il piazzamento più basso nella storia del Derby), il lavoro di Cox portò i suoi frutti: Rob Hindmarch, Charlie Palmer and Eric Steele arrivarono gratis, mentre grazie ai soldi della cessione di Kevin Wilson arrivarono anche Trevor Christie, Gary Micklewhite and Geraint Williams e, la stagione successiva, due futuri allenatori come Steve McLaren e John Gregory completarono la squadra di cui il bomber era però Bobby Davison, arrivato sotto Taylor. Promozione in Division Two e immediata promozione in Division One furono i risultati con cui Cox si presentò ai tifosi del Derby, che tornarono così a gustare la massima serie. Qui, dopo un anonimo 15esimo posto, arrivò un sorprendente quinto posto che fece nuovamente sognare i tifosi: forse era possibile ricostruire una squadra vincente. A distruggere questi sogni, alimentati anche da acquisti come Peter Shilton, Mark Wright, Dean Saunders, arrivò la notizia che Maxwell mise in vendita il club, dopo alcune dispute con la FA (Maxwell avrebbe voluto comprare anche il Watford): fu l’inizio di un nuovo mini-declino che riportò il club in seconda serie.

La crisi stavolta fu solo di risultati, visto che il club (passato nelle mani di Lionel Pickering) non badò a spese pur di tornare il massima serie, ottenendo però solo posizioni a ridosso dei playoff e una finale, persa contro i vicini del Leicester City in quella che fu l’ultima stagione di Cox sulla panchina (si dimise a Ottobre, dunque la finale di playoff – e il resto della stagione – venne disputata con il panchina suo vice, McFarland). McFarland venne salutato (ventisei anni al Derby per lui) a fine 1995, sostituito da Jim Smith che ebbe come primo compito ridurre il monte salari, esagerato per una squadra di seconda serie. Nonostante questo, Smith riuscì nell’altro compito, riportare – anzi, portare – il Derby County nella neonata Premier League, dove rimarrà fino al 2001/02 con alcune buone stagioni. Vice di Smith era Steve McLaren, che passò poi a fare il vice a Old Trafford. Ricordiamo due nostri connazionali in questo periodo (Baiano, Eranio e Ravanelli), e giocatori come Sturridge, Poom, Wanchope, Stimac, Kinkladze, Strupar (che non eguagliò le statistiche messe a segno con Genk), Craig Burley tra gli altri. Al termine del 2001/02, il Derby tornò in First Division, che diventerà poi Championship. Quello che va sottolineato di questo periodo è l’apertura del Pride Park Stadium, che andava a sostituire l’ormai vetusto Baseball Ground (che bello che era però!) e che venne inaugurato nel 1997 con un’amichevole contro la “mia” Sampdoria.

Il ritorno in Premier nel 2007

Il Derby County tornerà per una nuova, e breve, esperienza in Premier nel 2007/08 (perse la semifinale dei playoff 2004/05 contro il Preston North End), stagione che si rivelerà uno dei disastri maggiori nella storia del calcio inglese. Con UNA sola vittoria (in casa contro il Newcastle) il County eguagliò un record che durava da 108 ed apparteneva al Loughborough, oltre a stabilire il record per il minor numero di punti in Premier e per essere la prima squadra nella storia della stessa Premier ad essere retrocessa a Marzo. Dopo tale disastro (in panchina si avvicendarono Billy Davies, autore della promozione l’anno precedente, e Paul Jewell) la squadra rimane ancora in Championship, navigando a metà classifica con in panchina il figlio del leggendario Brian Clough, Nigel.

Noi passiamo ad analizzare nickname, colori e simbolo. Partiamo proprio dal nickname: the Rams. L’origine risale ancora al Derbyshire County Cricket Club, che scelse l’ariete collegandolo all’industria laniera del Derbyshire: la squadra di calcio lo ereditò, dunque, da quella di cricket, e ne fece il proprio simbolo. Simbolo che negli anni ha cambiato forma, ovviamente, ma che ha sempre contenuto in se l’ariete di Derby, su cui peraltro c’è tutta una storia collegata di rappresentazioni medievali di sacrifici di arieti a cui venivano precedentemente dorate le corna (questa è una evidente eredità antico romana). Il simbolo che conosciamo oggi è stato arricchito della scritta “Derby County”, ma la stilizzazione dell’ariete è quella introdotta negli anni ’70 (che poi per qualche anno verrà per qualche motivo capovolta). Il bianco-nero sono invece i colori del Derby dal 1895. La prima divisa era marrone chiaro-marrone scuro, con maniche azzurre: i classici abbinamente ottocenteschi che per fortuna non sono arrivati a noi. Poi venne introdotto il rosso-blu e, dopo una prima parentesi del bianco-nero (a strisce) il rosso-bianco. Una maglia a righe bianco-rosso-nere (fate finta di vedere il fantino dell’Istrice al Palio di Siena, ma senza il blu) fu il preludio alla maglia bianca con pantaloncini neri, che caratterizzerà (salvo un ritorno delle righe bianco-nere nel 1905 e nel 1910) il Derby per il resto della sua gloriosa storia.

P.S. quando Taylor morì nel 1990 Brian Clough era lì, al funerale, in lacrime. Nel 1994 dedicherà la sua autobiografia al suo vecchio amico Peter, con queste parole: “To Peter. Still miss you badly. You once said: ‘When you get shot of me there won’t be as much laughter in your life’. You were right“. Oggi la statua di entrambi, sorridenti e felici, svetta fuori Pride Park a ricordare giorni che forse non torneranno più. La vita è troppo breve per passarla litigando, e forse di questo Brian se ne pentì. Ma siamo sicuri che lassù i due si sono abbracciati, ricordando anche quelle vittorie in un Baseball Ground pazzo di gioia. E chi se li dimentica quei due..

Trofei

  • First Division: 1971/72, 1974/75
  • F.A. Cup: 1946
  • F.A. Charity Shield: 1975

Record

  • Maggior numero di spettatori: 41.826 v Tottenham Hotspur (First Division, 20 Settembre 1969)
  • Maggior numero di presenze in campionato: Kevin Hector, 486
  • Maggior numero di reti in campionato: Steve Bloomer, 293

Viaggio nella Nottingham del calcio: parte seconda, Nottingham Forest

Nottingham Forest Football Club
Anno di fondazione: 1865
Nickname: the Reds
Stadio: City Ground, Nottingham NG2
Capacità: 30.576

“The river Trent is lovely, I know because I have walked on it for 18 years“. La storia del Nottingham Forest è irrimediabilmente intrecciata a quella di Brian Clough, il quale in 18 anni ha trasformato una squadra di secondo piano in una potenza del calcio inglese ed europeo. E Cloughie è personaggio unico, per l’ironia pungente, per la mai nascosta immodestia, per la grandezza effettiva come allenatore: una leggenda, che rischia di monopolizzare un post che è invece dedicato alla storia del Nottingham Forest; però se le due storie si incrociano e si alimentano l’una con l’altra, non è forse inevitabile tutto ciò? Proviamo però a concentrarci sul Forest e sulla sua storia, partendo dagli albori. Il Nottingham Forest viene fondato nel 1865 da un gruppo di giocatori (quindici, per gli amanti della precisione) di shinty, che è una sorta di hockey, o di lacrosse, insomma una sport con delle mazze che abbiamo scoperto letteralmente l’altroieri, al Clinton Arms in Shakespeare Street. Probabile che parte della spinta a fondare un club, oltre al solito discorso legato ai mesi invernali (infatti nacque come “Football and bandy club”, e il bandy non è altro che shinty sul ghiaccio) sia derivata dal successo che stava avendo il Notts County, contro il quale il Forest giocò la prima partita ufficiale: 22 Marzo 1866. Come colore venne scelto il “Garibaldi Red” (da cui il nickname “Garibaldins”), dal colore delle camicie garibaldine, che come potete immaginare in quel periodo erano abbastanza in auge; maglie rosse dunque, che in futuro verranno donate ad Arsenal e Liverpool, che devono i propri colori proprio al Forest.

La statua di Clough, posizionata nel centro di Nottingham e non davanti al City Ground, caso più unico che raro

Il Forest si vide negato l’accesso alla Football League quando questa venne fondata nel 1888, dovendo ripiegare sulla Football Alliance che già abbiamo visto parlando dello Sheffield Wednesday, e vincendo la competizione nel 1892. In quella stessa stagione il club venne accettato in Football League. Fermiamoci un attimo e parliamo di stadi però. Il primo impianto utilizzato dalla squadra fu il Forest Recreation Ground, nel quale tra l’altro, in una partita contro lo Shieffield Norfolk, venne per la prima volta utilizzato un fischietto dall’arbitro, andando così a sostituire la bandiera bianca. Nel 1879 il club si trasferì al Meadows Cricket Ground, ma la vita fu breve nell’impianto, costringendo il Forest a trasferirsi nel sobborgo di Lenton, un “esilio” a cui fu costretto fino al 1890, quando le operazioni vennero portate al più centrale Town Ground, primo impianto che vide la comparsa delle traverse e delle reti nelle porte. Infine, nel 1898, il definitivo trasferimento al City Ground, sulle sponde del fiume Trent e a pochi passi dal futuro (1910) Meadow Lane. Questo discorso ci introduce alla stagione 1897/98, la prima di un certo peso per il club che arrivava da quattro semifinali consecuitive di FA Cup. In quell’anno infatti, l’anno del City Ground, il Forest vinse la FA Cup, battendo al Crystal Palace i rivali del Derby County per 3-1 (e dopo averci perso 0-5 in campionato pochi giorni prima) e mettendo in bacheca il primo trofeo importante, che per anni fu anche l’ultimo.

A questo punto però si apre un vuoto di sceneggiatura immenso. Fino al post-Seconda Guerra Mondiale, il Forest rimarrà niente più che un club di Seconda Divisione, immerso in problemi finanziari e sportivi (nel 1914 dovette riguardagnarsi l’elezione in Football League essendo arrivato ultimo), e a Nottingham la squadra principale era senza dubbio il Notts County, che pure non dominava il Mondo del calcio inglese. Addirittura nel 1949 il Forest retrocedette in Third Division, salvo riguardagnare la Second due stagioni dopo (la prima stagione furono beffati dal Notts County come visto nel post dedicato ai Magpies). Le cose migliorarono drasticamente sul finire degli anni ’50, quando nel 1957 i Reds guadagnarono la promozione in First Division, da cui mancavano da 18 lunghi anni, e nel 1959 vinsero nuovamente la FA Cup (2-1 al Luton Town), secondo silverware della loro storia e ultimo vinto senza l’uomo di Middlesbrough in panchina. Il decennio che si stava aprendo (Beatles, rivoluzioni giovanili…un periodo interessante) sembrava essere promettente, tanto più visto che a metà di esso il Forest giunse secondo in campionato (1966/67) e in semifinale di coppa. La squadra però sul più bello cedette e il manager Johnny Carey non riuscì nell’impresa, tuttavia folle enormi affollavano il City Ground per vedere quella che ormai era diventata la prima squadra cittadina, anche sulla spinta del successo inglese in Coppa del Mondo che aveva acceso entusiasmi sopiti. A spegnerli però, tali entusiasmi, fu la retrocessione del 1972. Il Forest tornava così in Second Division, ma stava per succedere qualcosa…

Poco distante da Nottingham sorge la città di Derby. A Derby, calcisticamente, le cose andavano benone, e il club aveva conquistato in modo del tutto inaspettato, nel 1971/72, il titolo di campione d’Inghilterra. In sella c’era un allenatore che proveniva dal nord, Brian Howard Clough, con il fidato vice Peter Taylor. Clough però litigò con la dirigenza dei Rams e, nel 1973, rassegnò le dimissioni; allenò Brighton e Leeds (ci torneremo sulla carriera di Clough, non preoccupatevi) con non altrettanta fortuna, la fama che aveva accumulato a Derby era scricchiolante, sebbene la lingua continuasse a essere pungente. Fattostà che nel 1975 Clough era senza squadra, e quando la panchina del Forest si liberò a causa l’impantanamento in Second Division (Gennaio 1975), il comitato che guidava il club (il Forest possedeva questo particolare sistema dirigenziale) scelse Cloughie, il quale si rimise in gioco a poche miglia di distanza da dove aveva conquistato l’Inghilterra e – quasi – l’Europa (il Derby County perse la semifinale di Coppa Campioni contro la Juventus). Fu la svolta, e l’inizio di un periodo magico per i Reds. La prima mezza stagione di Clough al Forest finì con un nono posto, prima che Peter Taylor si ricongiungesse con il maestro la stagione successiva (non va mai sottovalutata l’influenza che Taylor ebbe sulla carriera e i successi di Clough).

Al triennio magico del Nottingham Forest di Clough abbiamo già dedicato un post, per cui ci sembra inutile riscrivere le stesse cose qui, e vi rimandiamo al link per la lettura. Riassumendo, Clough in rapida successione ottenne: promozione in First Division, titolo di campione d’Inghilterra, vittoria di Coppa dei Campioni, vittoria in Coppa dei Campioni, ancora. Back-to-back-to-back-to back Un capolavoro irripetibile, a cui vanno aggiunte le Coppe di Lega del 1978 e del 1979, la Charity Shield del 1978, la Supercoppa Europea del 1979. Da club di secondo livello – e di seconda divisione – il Nottingham Forest era stato trasformato da Clough in uno di primo livello: una bacheca semivuota ora faceva invidia a molte squadre non solo inglesi, ma europee. La Nazionale continuava a snobbarlo (le lingue taglienti e i caratteri forti non piacciono mai a certi livelli), lui continuava a insegnare calcio a Nottingham, anche dopo la separazione da Taylor (1980). Una semifinale di UEFA nel 1983/84, persa discutibilmente contro l’Anderlecht (su quella doppia sfida sono emersi poi particolari inquietanti) con un goal annullato al Forest. Nel 1989 e nel 1990 gli ultimi due trionfi, entrambe le volte in League Cup, sia del Forest che di Clough, il quale non riuscì mai (unico suo cruccio) a vincere l’FA Cup, andandoci solo vicino nel 1991, perdendo la finale contro il Tottenham. Fu l’epilogo. Nel 1993, con il Forest tristemente destinato alla retrocessione e con alcuni azionisti sull’orlo di guerra, Clough annunciò il suo ritiro, dovuto anche all’alcolismo alla cui lotta si sarebbe dedicato negli anni successivi.

Fu la fine della carriera di Clough (che morirà, dopo una lunga battaglia contro un cancro alla stomaco, nel 2004), ma fu anche la fine delle fortune del Nottingham Forest, che vedrà per l’ultima volta la massima serie nel 1999 (e dopo un solo acuto, il terzo posto nel 1994/95). Da allora, una vita tra seconda e terza serie, ora fortunatamente seconda (Championship), con ambizioni di rilancio affidate all’ormai solito investitore mediorientale. Chiudiamo con il solito riferimento a maglie e stemmi. Le maglie, come detto, sono sempre state rosse, fin dalla fondazione, con l’unica variante dei pantaloncini blu dal 1892 al 1899; un rosso che negli anni è diventato più brillante rispetto all’originale. Lo stemma invece è quello attuale dal 1979, quando venne disegnato dal grafico David Lewis: rappresenta un albero della foresta di Sherwood con alla base le onde, simbolo del fiume Trent. In precedenza era invece utilizzato il simbolo della città di Nottingham, con le iniziali “N.F.F.C.” in cima allo scudo al posto del castello. Il City Ground è invece raggiungibile a piedi dalla stazione di Nottingham, anche se rispetto a Meadow Lane il percorso è leggermente più lungo (una ventina di minuti).

“I want no epitaphs of profound history and all that type of thing. I contributed. I would hope they would say that, and I would hope somebody liked me.”
Brian Clough

Al City Ground non ti dimenticheranno mai, Brian.

Link: Nottingham Forest Italia