Una delle cose che abbiamo sottolineato maggiormente nel nostro viaggio londinese è il legame imprescindibile tra squadra e comunità, con i club spesso figli della stessa (pensiamo al Fulham nato dai fedeli di una chiesa, etc) o comunque sviluppatisi in essa. Il legame è talmente forte che, di recente, quando il Chelsea ha paventato un trasferimento dall’altra parte del Tamigi, nel luogo ora occupato dalla Battersea Power Station (quella di Animals dei Pink Floyd), solo poche miglia in linea d’aria da Stamford Bridge, molti hanno storto il naso; e basti pensare alle polemiche sull’Olympic Stadium, con il Leyton Orient che accusa il West Ham, interessatissimo e più o meno vicino al trasferimento, di invadere il suo territorio di influenza. Succede quindi raramente che un club abbandoni il suo luogo di origine. L’Arsenal, nato a Woolwich e trasferitosi poi nel nord di Londra, è un caso più unico che raro; ma in quel caso, sebbene in un’altra zona, la base rimaneva comunque a Londra. Invece qui siamo di fronte a un furto di identità, di storia, e del posto in Football League che non è nemmeno poco, con un’intera comunità nel sud di Londra privata della propria squadra. Parliamo naturalmente del Milton Keynes Dons, e del club che subì tutto questo, il Wimbledon; per la prima volta dal 2003, quando successe il fattaccio, il 2 Dicembre in FA Cup l’MK Dons incontrerà l’AFC Wimbledon, la squadra che i tifosi dei Wombles fondarono quando la loro gli venne portata via. Per molti aspetti, la partita della stagione.
Tracciamo il background che fece da scenario alla vicenda. Milton Keynes (Buckinghamshire) è una new town, creata dal governo negli anni ’60 per dare risposta alla richiesta di case che ormai la capitale non poteva più soddisfare; fu scelta tale zona poichè equidistante da Londra, Birmingham, Oxford, Leicester. Si creò in quel modo una nuova comunità che oggi conta 195.000 abitanti, nemmeno pochi. E che tuttavia non possedeva una squadra di calcio professionistica, come è abbastanza naturale visto che prima esistevano nella zona solo town (le principali Bletchley, Wolverton e Stony Stratford). Nel corso degli anni si tentò a più riprese di dotare la città di una sua squadra, purtroppo non partendo dal basso, ma trasferendo una squadra già esistente a Milton Keynes (a dir la verità in questi tentativi l’iniziativa era sempre presa dalla dirigenza del club, e solo nel 2003 sarà presa dalla città di Milton Keynes). Il primo tentativo venne fatto con il Charlton Athletic (1973), quando una delle tante liti tra il club e il borough di Greenwich fece paventare alla dirigenza il trasferimento; la cosa però si risolse con l’approvazione da parte del council borough dei piani di sviluppo di The Valley e tutto finì lì. Si provò nuovamente nel 1979, questa volta con il Wimbledon, club tradizionalmente di non-league ma nell’anno precedente promosso in Football League (e destinato a una rapida scalata). Il proprietario dei Dons, Ron Noades, vedeva in Plough Lane e in generale nel “bacino d’utenza” del club una limitazione per future ambizioni; comprò la squadra di Southern League di MK, il Milton Keynes City, e fu chiaro a tutti che l’obbiettivo era quello di trasferire armi e bagagli più a nord con una fusione tra le due squadre (tre membri della dirigenza del Wimbledon entrarono nel Milton Keynes City), asserendo che la città forniva maggiori possibilità di sviluppo rispetto al borough originario di Merton. Fortunatamente l’idea sfumò, quando Noades si convinse che il suo ottimismo non avrebbe avuto un riscontro nella realtà: “I couldn’t really see us getting any bigger gates than what Northampton Town were currently getting at that time” dirà nel 2001. L’ultimo tentativo venne fatto con il Luton Town nel 1983. Luton (Bedfordshire) non dista molto da MK (25 miglia), e nell’idea del club, che considerava Kenilworth Road stadio senza futuro (che però ad oggi è fortunatamente ancora la casa degli Hatters), la new town sarebbe stata ideale per un nuovo impianto, con tanto di cambio di nome in MK Hatters. Questo abominio fu duramente e ovviamente ostacolato dai tifosi del Luton, le cui proteste portarono al passo indietro da parte della dirigenza. Tutto questo fino al 2003, quando….
Questo il punto di vista di Milton Keynes, vediamo quello del Wimbledon. Il Wimbledon dal 1977 scalò rapidamente la piramide del calcio inglese, arrivando in First Division nel 1986/87. La Crazy Gang, l’FA Cup del 1988 sono tutte storie note. E proprio dopo l’FA Cup del 1988, il borough di Merton approvò la costruzione di un nuovo impianto da 20.000 posti che avrebbe sostituito nel giro di qualche anno Plough Lane, la casa dei Dons (o Wombles); purtroppo il nuovo consiglio eletto, a maggioranza laburista, bocciò il progetto nel 1990, e al posto dello stadio venne costruito un parcheggio. Un tempismo terribile, visto che nel 1991 il Rapporto Taylor obbligò tutti i club a ristrutturare i propri stadi per adattarli alle nuove norme di sicurezza post-Hillsborough: il Wimbledon non poteva in quel momento affrontare la spesa (c’è anche un’intricata storia riguardante una clausola posta su Plough Lane da parte del borough) e fu costretto ad abbandonare la sua casa originale per trasferirsi a Selhurst Park, stadio del Crystal Palace ironicamente di proprietà, in quel periodo, di Noades, l’ex chairman dei Dons. Il trasferimento, che avrebbe dovuto essere temporaneo, fu la pietra tombale sul club. Il borough di Merton e il club non riuscirono mai a trovare un punto di intesa su un nuovo impianto, il Wimbledon a Selhurst Park attirava un esiguo numero di spettatori, sradicato com’era dalla sua comunità locale (una decina di km nella Londra del calcio fanno tutta la differenza del Mondo) e in tale desolazione l’ipotesi di trasferire la squadra prese corpo e infine si concretizzò. Si parlò addirittura di Dublino, meta preferita del proprietario, Hammam, ma la Football Association of Ireland si oppose (giustamente), mentre la Premier League aveva già dato parere positivo; altre opzioni vennero scartate (Gatwick, Basingstoke, Cardiff), altre non andarono a buon fine, come il tentativo di acquistare Selhurst Park. Una situazione complessa, ingarbugliata, senza via d’uscita. Il club retrocesse al termine della stagione 1999/2000.
In questa situazione si inserì il Milton Keynes Stadium Consortium. Il consorzio in questione era presieduto da Pete Winkelman e supportato da Asda (supermercati) e IKEA (svedesi con la passione di farti costruire le cose), e avrebbe dovuto riqualificare un’intera area cittadina con la costruzione di uno stadio da 30.000 posti, un ipermercato, uno store IKEA, hotel e roba varia. Il problema di questo affare (perchè tale era, un gigantesco affare come è nelle logiche imprenditoriali, che quasi sempre non coincidono con le logiche del calcio) era che il club più importante a livello locale, il già citato Miton Keynes City, giocava in Spartan South Midlands, ottavo livello della piramide, ed era difficile immaginare che uno stadio così grande fosse funzionale a un match contro l’Arlesey Town di turno. Insomma, quello stadio, con la riqualificazione e il giro d’affari seguente, necessitava di una squadra pro: niente squadra, niente costruzioni. Il consiglio cittadino approvò il progetto dicendosi pronto a ricevere una squadra già esistente. “it could be Southend or Blackpool, I suppose” ebbe a dire il leader del consiglio cittadino Miles, un modo carino per dire “non ce ne frega nulla da dove provenga, basta avere ‘sta benedetta squadra”. Il progetto di Winkelman, che secondo i detrattori operò ben conscio che quello stadio non sarebbe servito al Milton Keynes City (peraltro fallito nel 2003, l’anno del trasferimento del Wimbledon) ma ad ospitare una squadra pro trasferendola, vide la luce.
Il consorzio contattò diversi club: Luton Town, Crystal Palace, Barnet, Queens Park Rangers, Wimbledon, ricevendo da tutti un secco “no”. Il più possibilista sembrò essere Charles Koppel, presidente del Wimbledon (i proprietari erano norvegesi), tanto che, quando nel Giugno 2001 il consorzio di Winkelman si presentò nuovamente a bussare alla porta del club, Koppel, ormai alla guida solitaria, disse di sì. Apriti cielo. La Football Association e la Football League disgustate intimarono Winkelman e Koppel di desistere dal tentativo, e specialmente la lega affermò che “franchised football would be disastrous“, e che qualsiasi club di Milton Keynes avrebbe dovuto scalare la piramide per guadagnarsi lo status di league-club. Si sarebbero presto rimangiate tutto, con la consueta tecnica del lavarsene le mani, anche se ufficialmente continuarono entrambe a dirsi contrarie allo spostamente del club. Quando il Wimbledon di Koppel fece appello contro la decisione, la Football Association costituì un arbitrato, di cui facevano parte il vicepresidente dell’Arsenal e dell’FA David Dein, Douglas Craig, controverso presidente dello York City e Charles Hollander, Queen’s counsel: i tre stabilirono che il rifiuto non seguì la procedura di legge, riaprendo alla possibilità del trasferimento. La FA a questo punto istituì una commissione speciale composta da Raj Parker, Alan Turvey, presidente della Isthmian (Ryman) League e Steve Stride, dirigente dell’Aston Villa. Nemmeno a dirlo, la commissione votò favorevolmente (2 voti a 1, Turvey fu contrario) per il trasferimento del Wimbledon a Milton Keynes. Era il 28 Maggio 2002.
I tifosi del Wimbledon reagirono alla decisione (umiliante, senza precedenti) fondando un loro club, l’AFC Wimbledon. Una tristemente famosa nota della commissione recitava: “Resurrecting the club from its ashes is, with respect to those supporters who would rather that happened so they could go back to the position the club started in 113 years ago, not in the wider interests of football“. Terrificante, umiliante, uno schiaffo ulteriore dopo lo scippo della squadra. Il resto lo sapete, con il trasferimento avvenuto definitivamente nel Settembre del 2003, mentre dell’AFC Wimbledon e della sua resurrezione abbiamo parlato in parte QUI. Il Milton Keynes Dons (questo il nome scelto dalla squadra) gioca invece in League One, avendo ereditato la posizione dal Wimbledon, e nel famoso stadio, inaugurato alla fine nel 2007 (precedenteme disputava le partite interne al National Hockey Stadium); dopo aver ereditato lo stemma del Wimbledon, su opposizione del College of Arms il club l’ha dapprima modificato, infine del tutto cambiato, mentre come colore è stato scelto il bianco al posto del giallo-blu del Wimbledon (che invece è stato ripreso dall’AFC). I due club, dopo dure dispute, sono anche giunti ad un accordo sulla storia, che il Milton Keynes Dons, dopo essersi presentato come erede della crazy gang, fa ora partire dal 2004; i trofei del Wimbledon invece sono diventati propretà del borough di Merton. In sospeso rimane la questione del nome, con una campagna promossa dal Wimbledon Guardian e sostenuta dal borough di Merton, nonchè dai due Member of Parliament del collegio di Merton, tesa a far rimuovere il “Dons” dal nome della squadra di Milton Keynes. Le parti, nonostante diversi incontri, non hanno tuttavia raggiunto un accordo sulla questione.
Della vicenda come detto in apertura parliamo perchè il calendario della FA Cup ha voluto che, il 2 Dicembre 2012, si giochi in quel di Milton Keynes la partita tra Milton Keynes Dons e AFC Wimbledon, il primo incontro tra i due club dopo i fatti narrati. Una partita che catalizzerà le attenzioni di tutta l’Inghilterra calcistica e non solo. I tifosi dell’AFC Wimbledon (club ancora oggi di proprietà degli stessi) hanno deciso di non partecipare al match. Come biasimarli: si troveranno di fronte coloro i quali hanno usurpato il loro club e la sua storia. E’ interessante al proposito QUESTO articolo di un anno fa:
“When my club AFC Wimbledon won their game against Basingstoke in the fourth qualifying round of the FA Cup and went into the draw for the first round proper, I was again faced by comment by my friends about the prospect of a match against Milton Keynes Dons. Frankly I can’t think of anything worse. I never want to see it happen. “But it would be so good to beat them,” my mates say, imagining that I, a Dons Trust founder member and former season-ticket holder, would treat the game as the ultimate derby. No. A derby game is between neighbours, rivals, possibly even enemies. It’s like a golf match or ten-pin bowling evening against the annoying bloke next door, or those idiots in finance, or your smug brother-in-law. You’d love it if you win; conversely you’d have to grit your teeth in the face of taunting if you lose. But essentially, you acknowledge the right of your rivals to exist. And life is more interesting with them around. You hate them, but would miss them if you went. Well, that’s not the case with Milton Keynes (…) So, for those fans and journalists who try to persuade me and my fellow Wimbledon fans that such a game would be one of the matches of the season, I can only say: Please don’t”.
Per quanto ci riguarda, abbiamo chiesto all’amico della pagina Show me a way to Plough Lane, pagina dedicata all’AFC Wimbledon, un’opinione:
“Io credo che sia un match innaturale; un match che non si sarebbe mai dovuto giocare per il semplice fatto che per meri interessi economici, quali tra gli altri la costruzione di uno stadio e la necessità di avere un club professionistico, un club è stato sradicato dal suo luogo di origine e di vita per 113 anni, come una qualunque franchigia di un qualsiasi sport americano, uccidendo di fatto una società calcistica. Capisco perfettamente coloro i quali tra i tifosi dell’AFC Wimbledon si rifiuteranno di seguire la squadra in questa trasferta. Sarebbe un modo di legittimare l’esistenza stessa di un tale club, nato in una maniera che nulla ha a che fare con il modo di concepire lo sport in Inghilterra e in Europa. Se fossi però un tifoso dell’AFC Wimbledon – e non posso dire di esserlo, non avendo il loro vissuto alle spalle – forse (dico forse) mi convincerei in ultimo ad andare. E se vogliamo trovare per forza un dato positivo, è positivo che a distanza di dieci anni questa partita ribadisca davanti a tutto il mondo calcistico l’ingiustizia che i tifosi dell’AFCW furono costretti a subire a causa di una decisione avallata dalla Commissione istituita dalla FA; ed è positivo che un club bollato dalla stessa Commissione come “not in wider interests of football” sia arrivato a sfidare, risalendo passo dopo passo, coloro i quali provocarono la morte del Wimbledon FC”.
Questo ci porta a una riflessione. Non sarà una partita tra due squadre soltanto, ma una partita tra due filosofie e concezioni del calcio. Da una parte una mera questione d’affari, perchè se non mettiamo in dubbio che gli 8.000 che in media al Sabato si recano allo Stadium:mk (questo il nome dell’impianto) per sostenere l’MK Dons lo facciano in buona fede (alla fine loro non ne possono nulla, anche se troviamo difficile innamorarsi di un club in queste circostanze), quel club nasce da una gigantesca operazione economica, figlio del mondo degli affari e di una cultura dello sport delle franchigie che certamente si adatta allo sport americano, ma non inglese o più in generale europeo; dall’altra invece un club fondato dai tifosi, che si son visti privati della squadra espressione del loro quartiere e han deciso di rifondarla partendo dal basso, scalando la piramide e tornando con le loro forze in Football League. Il “support your local team” portato all’estremo, il calcio dei tifosi contro quello plastificato, che non suscita entusiasmo semplicemente perchè non ci si può innamorare di un prodotto artificiale, le cui maglie non odorano di storia e di gesta passate, soprattutto se tale prodotto non è frutto di un’iniziativa spontanea ma è importato. Il Chelsea o il Liverpool vennero fondati per riempire uno stadio vuoto, è vero, ma nel corso degli anni hanno scalato le posizioni per propri meriti: non hanno acquistato la loro posizione in Football League da un altro club, e soprattutto vennero FONDATI, non importati più o meno forzatamente, sradicando dal suo luogo d’origine un club preesistente. Ed è straordinario pensare che, durante la stagione 2002/03, l’ultima del Wimbledon F.C. ormai col destino già segnato, e con l’AFC Wimbledon già in vita, la media spettatori fosse più alta per i secondi, sebbene fossero i primi a giocare tra i professionisti. Ed è questo il vero insegnamento che questa storia fornisce: che il calcio inglese non solo è il calcio legato alla comunità, ma che questa ne è la vera forza. Han provato a uccidere il Wimbledon, e non ci sono riusciti, perchè i suoi tifosi non si sono arresi alle logiche del calcio moderno. Quando la comunità di Merton si è vista privata della sua squadra, l’ha rifondata, partendo dal calcio più amatoriale che esista, genuina testimonianza del legame che non scomparirà mai tra quartiere e club; se invece un giorno il Milton Keynes sparisse dal calcio che conta, quasi nessuno se ne accorgerebbe.
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