Da Merton a Milton Keynes. La vicenda del Wimbledon F.C. e la partita dell’anno

Una delle cose che abbiamo sottolineato maggiormente nel nostro viaggio londinese è il legame imprescindibile tra squadra e comunità, con i club spesso figli della stessa (pensiamo al Fulham nato dai fedeli di una chiesa, etc) o comunque sviluppatisi in essa. Il legame è talmente forte che, di recente, quando il Chelsea ha paventato un trasferimento dall’altra parte del Tamigi, nel luogo ora occupato dalla Battersea Power Station (quella di Animals dei Pink Floyd), solo poche miglia in linea d’aria da Stamford Bridge, molti hanno storto il naso; e basti pensare alle polemiche sull’Olympic Stadium, con il Leyton Orient che accusa il West Ham, interessatissimo e più o meno vicino al trasferimento, di invadere il suo territorio di influenza. Succede quindi raramente che un club abbandoni il suo luogo di origine. L’Arsenal, nato a Woolwich e trasferitosi poi nel nord di Londra, è un caso più unico che raro; ma in quel caso, sebbene in un’altra zona, la base rimaneva comunque a Londra. Invece qui siamo di fronte a un furto di identità, di storia, e del posto in Football League che non è nemmeno poco, con un’intera comunità nel sud di Londra privata della propria squadra. Parliamo naturalmente del Milton Keynes Dons, e del club che subì tutto questo, il Wimbledon; per la prima volta dal 2003, quando successe il fattaccio, il 2 Dicembre in FA Cup l’MK Dons incontrerà l’AFC Wimbledon, la squadra che i tifosi dei Wombles fondarono quando la loro gli venne portata via. Per molti aspetti, la partita della stagione.

Lawrie Sanchez, Dave Beasant e l’FA Cup

Tracciamo il background che fece da scenario alla vicenda. Milton Keynes (Buckinghamshire) è una new town, creata dal governo negli anni ’60 per dare risposta alla richiesta di case che ormai la capitale non poteva più soddisfare; fu scelta tale zona poichè equidistante da Londra, Birmingham, Oxford, Leicester. Si creò in quel modo una nuova comunità che oggi conta 195.000 abitanti, nemmeno pochi. E che tuttavia non possedeva una squadra di calcio professionistica, come è abbastanza naturale visto che prima esistevano nella zona solo town (le principali Bletchley, Wolverton e Stony Stratford). Nel corso degli anni si tentò a più riprese di dotare la città di una sua squadra, purtroppo non partendo dal basso, ma trasferendo una squadra già esistente a Milton Keynes (a dir la verità in questi tentativi l’iniziativa era sempre presa dalla dirigenza del club, e solo nel 2003 sarà presa dalla città di Milton Keynes). Il primo tentativo venne fatto con il Charlton Athletic (1973), quando una delle tante liti tra il club e il borough di Greenwich fece paventare alla dirigenza il trasferimento; la cosa però si risolse con l’approvazione da parte del council borough dei piani di sviluppo di The Valley e tutto finì lì. Si provò nuovamente nel 1979, questa volta con il Wimbledon, club tradizionalmente di non-league ma nell’anno precedente promosso in Football League (e destinato a una rapida scalata). Il proprietario dei Dons, Ron Noades, vedeva in Plough Lane e in generale nel “bacino d’utenza” del club una limitazione per future ambizioni; comprò la squadra di Southern League di MK, il Milton Keynes City, e fu chiaro a tutti che l’obbiettivo era quello di trasferire armi e bagagli più a nord con una fusione tra le due squadre (tre membri della dirigenza del Wimbledon entrarono nel Milton Keynes City), asserendo che la città forniva maggiori possibilità di sviluppo rispetto al borough originario di Merton. Fortunatamente l’idea sfumò, quando Noades si convinse che il suo ottimismo non avrebbe avuto un riscontro nella realtà: “I couldn’t really see us getting any bigger gates than what Northampton Town were currently getting at that time” dirà nel 2001. L’ultimo tentativo venne fatto con il Luton Town nel 1983. Luton (Bedfordshire) non dista molto da MK (25 miglia), e nell’idea del club, che considerava Kenilworth Road stadio senza futuro (che però ad oggi è fortunatamente ancora la casa degli Hatters), la new town sarebbe stata ideale per un nuovo impianto, con tanto di cambio di nome in MK Hatters. Questo abominio fu duramente e ovviamente ostacolato dai tifosi del Luton, le cui proteste portarono al passo indietro da parte della dirigenza. Tutto questo fino al 2003, quando….

Questo il punto di vista di Milton Keynes, vediamo quello del Wimbledon. Il Wimbledon dal 1977 scalò rapidamente la piramide del calcio inglese, arrivando in First Division nel 1986/87. La Crazy Gang, l’FA Cup del 1988 sono tutte storie note. E proprio dopo l’FA Cup del 1988, il borough di Merton approvò la costruzione di un nuovo impianto da 20.000 posti che avrebbe sostituito nel giro di qualche anno Plough Lane, la casa dei Dons (o Wombles); purtroppo il nuovo consiglio eletto, a maggioranza laburista, bocciò il progetto nel 1990, e al posto dello stadio venne costruito un parcheggio. Un tempismo terribile, visto che nel 1991 il Rapporto Taylor obbligò tutti i club a ristrutturare i propri stadi per adattarli alle nuove norme di sicurezza post-Hillsborough: il Wimbledon non poteva in quel momento affrontare la spesa (c’è anche un’intricata storia riguardante una clausola posta su Plough Lane da parte del borough) e fu costretto ad abbandonare la sua casa originale per trasferirsi a Selhurst Park, stadio del Crystal Palace ironicamente di proprietà, in quel periodo, di Noades, l’ex chairman dei Dons. Il trasferimento, che avrebbe dovuto essere temporaneo, fu la pietra tombale sul club. Il borough di Merton e il club non riuscirono mai a trovare un punto di intesa su un nuovo impianto, il Wimbledon a Selhurst Park attirava un esiguo numero di spettatori, sradicato com’era dalla sua comunità locale (una decina di km nella Londra del calcio fanno tutta la differenza del Mondo) e in tale desolazione l’ipotesi di trasferire la squadra prese corpo e infine si concretizzò. Si parlò addirittura di Dublino, meta preferita del proprietario, Hammam, ma la Football Association of Ireland si oppose (giustamente), mentre la Premier League aveva già dato parere positivo; altre opzioni vennero scartate (Gatwick, Basingstoke, Cardiff), altre non andarono a buon fine, come il tentativo di acquistare Selhurst Park. Una situazione complessa, ingarbugliata, senza via d’uscita. Il club retrocesse al termine della stagione 1999/2000.

Plough Lane

In questa situazione si inserì il Milton Keynes Stadium Consortium. Il consorzio in questione era presieduto da Pete Winkelman e supportato da Asda (supermercati) e IKEA (svedesi con la passione di farti costruire le cose), e avrebbe dovuto riqualificare un’intera area cittadina con la costruzione di uno stadio da 30.000 posti, un ipermercato, uno store IKEA, hotel e roba varia. Il problema di questo affare (perchè tale era, un gigantesco affare come è nelle logiche imprenditoriali, che quasi sempre non coincidono con le logiche del calcio) era che il club più importante a livello locale, il già citato Miton Keynes City, giocava in Spartan South Midlands, ottavo livello della piramide, ed era difficile immaginare che uno stadio così grande fosse funzionale a un match contro l’Arlesey Town di turno. Insomma, quello stadio, con la riqualificazione e il giro d’affari seguente, necessitava di una squadra pro: niente squadra, niente costruzioni. Il consiglio cittadino approvò il progetto dicendosi pronto a ricevere una squadra già esistente. “it could be Southend or Blackpool, I suppose” ebbe a dire il leader del consiglio cittadino Miles, un modo carino per dire “non ce ne frega nulla da dove provenga, basta avere ‘sta benedetta squadra”. Il progetto di Winkelman, che secondo i detrattori operò ben conscio che quello stadio non sarebbe servito al Milton Keynes City (peraltro fallito nel 2003, l’anno del trasferimento del Wimbledon) ma ad ospitare una squadra pro trasferendola, vide la luce.

Lo stadio dell’MK Dons

Il consorzio contattò diversi club: Luton Town, Crystal Palace, Barnet, Queens Park Rangers, Wimbledon, ricevendo da tutti un secco “no”. Il più possibilista sembrò essere Charles Koppel, presidente del Wimbledon (i proprietari erano norvegesi), tanto che, quando nel Giugno 2001 il consorzio di Winkelman si presentò nuovamente a bussare alla porta del club, Koppel, ormai alla guida solitaria, disse di sì. Apriti cielo. La Football Association e la Football League disgustate intimarono Winkelman e Koppel di desistere dal tentativo, e specialmente la lega affermò che “franchised football would be disastrous“, e che qualsiasi club di Milton Keynes avrebbe dovuto scalare la piramide per guadagnarsi lo status di league-club. Si sarebbero presto rimangiate tutto, con la consueta tecnica del lavarsene le mani, anche se ufficialmente continuarono entrambe a dirsi contrarie allo spostamente del club. Quando il Wimbledon di Koppel fece appello contro la decisione, la Football Association costituì un arbitrato, di cui facevano parte il vicepresidente dell’Arsenal e dell’FA David Dein, Douglas Craig, controverso presidente dello York City e Charles Hollander, Queen’s counsel: i tre stabilirono che il rifiuto non seguì la procedura di legge, riaprendo alla possibilità del trasferimento. La FA a questo punto istituì una commissione speciale composta da Raj Parker, Alan Turvey, presidente della Isthmian (Ryman) League e Steve Stride, dirigente dell’Aston Villa. Nemmeno a dirlo, la commissione votò favorevolmente (2 voti a 1, Turvey fu contrario) per il trasferimento del Wimbledon a Milton Keynes. Era il 28 Maggio 2002.

I tifosi del Wimbledon reagirono alla decisione (umiliante, senza precedenti) fondando un loro club, l’AFC Wimbledon. Una tristemente famosa nota della commissione recitava: “Resurrecting the club from its ashes is, with respect to those supporters who would rather that happened so they could go back to the position the club started in 113 years ago, not in the wider interests of football“. Terrificante, umiliante, uno schiaffo ulteriore dopo lo scippo della squadra. Il resto lo sapete, con il trasferimento avvenuto definitivamente nel Settembre del 2003, mentre dell’AFC Wimbledon e della sua resurrezione abbiamo parlato in parte QUI. Il Milton Keynes Dons (questo il nome scelto dalla squadra) gioca invece in League One, avendo ereditato la posizione dal Wimbledon, e nel famoso stadio, inaugurato alla fine nel 2007 (precedenteme disputava le partite interne al National Hockey Stadium); dopo aver ereditato lo stemma del Wimbledon, su opposizione del College of Arms il club l’ha dapprima modificato, infine del tutto cambiato, mentre come colore è stato scelto il bianco al posto del giallo-blu del Wimbledon (che invece è stato ripreso dall’AFC). I due club, dopo dure dispute, sono anche giunti ad un accordo sulla storia, che il Milton Keynes Dons, dopo essersi presentato come erede della crazy gang, fa ora partire dal 2004; i trofei del Wimbledon invece sono diventati propretà del borough di Merton. In sospeso rimane la questione del nome, con una campagna promossa dal Wimbledon Guardian e sostenuta dal borough di Merton, nonchè dai due Member of Parliament del collegio di Merton, tesa a far rimuovere il “Dons” dal nome della squadra di Milton Keynes. Le parti, nonostante diversi incontri, non hanno tuttavia raggiunto un accordo sulla questione.

Della vicenda come detto in apertura parliamo perchè il calendario della FA Cup ha voluto che, il 2 Dicembre 2012, si giochi in quel di Milton Keynes la partita tra Milton Keynes Dons e AFC Wimbledon, il primo incontro tra i due club dopo i fatti narrati. Una partita che catalizzerà le attenzioni di tutta l’Inghilterra calcistica e non solo. I tifosi dell’AFC Wimbledon (club ancora oggi di proprietà degli stessi) hanno deciso di non partecipare al match. Come biasimarli: si troveranno di fronte coloro i quali hanno usurpato il loro club e la sua storia. E’ interessante al proposito QUESTO  articolo di un anno fa:
“When my club AFC Wimbledon won their game against Basingstoke in the fourth qualifying round of the FA Cup and went into the draw for the first round proper, I was again faced by comment by my friends about the prospect of a match against Milton Keynes Dons. Frankly I can’t think of anything worse. I never want to see it happen. “But it would be so good to beat them,” my mates say, imagining that I, a Dons Trust founder member and former season-ticket holder, would treat the game as the ultimate derby. No. A derby game is between neighbours, rivals, possibly even enemies. It’s like a golf match or ten-pin bowling evening against the annoying bloke next door, or those idiots in finance, or your smug brother-in-law. You’d love it if you win; conversely you’d have to grit your teeth in the face of taunting if you lose. But essentially, you acknowledge the right of your rivals to exist. And life is more interesting with them around. You hate them, but would miss them if you went. Well, that’s not the case with Milton Keynes (…) So, for those fans and journalists who try to persuade me and my fellow Wimbledon fans that such a game would be one of the matches of the season, I can only say: Please don’t”.

Per quanto ci riguarda, abbiamo chiesto all’amico della pagina Show me a way to Plough Lane, pagina dedicata all’AFC Wimbledon, un’opinione:
“Io credo che sia un match innaturale; un match che non si sarebbe mai dovuto giocare per il semplice fatto che per meri interessi economici, quali tra gli altri la costruzione di uno stadio e la necessità di avere un club professionistico, un club è stato sradicato dal suo luogo di origine e di vita per 113 anni, come una qualunque franchigia di un qualsiasi sport americano, uccidendo di fatto una società calcistica. Capisco perfettamente coloro i quali tra i tifosi dell’AFC Wimbledon si rifiuteranno di seguire la squadra in questa trasferta. Sarebbe un modo di legittimare l’esistenza stessa di un tale club, nato in una maniera che nulla ha a che fare con il modo di concepire lo sport in Inghilterra e in Europa. Se fossi però un tifoso dell’AFC Wimbledon – e non posso dire di esserlo, non avendo il loro vissuto alle spalle – forse (dico forse) mi convincerei in ultimo ad andare. E se vogliamo trovare per forza un dato positivo, è positivo che a distanza di dieci anni questa partita ribadisca davanti a tutto il mondo calcistico l’ingiustizia che i tifosi dell’AFCW furono costretti a subire a causa di una decisione avallata dalla Commissione istituita dalla FA; ed è positivo che un club bollato dalla stessa Commissione come “not in wider interests of football” sia arrivato a sfidare, risalendo passo dopo passo, coloro i quali provocarono la morte del Wimbledon FC”.

Questo ci porta a una riflessione. Non sarà una partita tra due squadre soltanto, ma una partita tra due filosofie e concezioni del calcio. Da una parte una mera questione d’affari, perchè se non mettiamo in dubbio che gli 8.000 che in media al Sabato si recano allo Stadium:mk (questo il nome dell’impianto) per sostenere l’MK Dons lo facciano in buona fede (alla fine loro non ne possono nulla, anche se troviamo difficile innamorarsi di un club in queste circostanze), quel club nasce da una gigantesca operazione economica, figlio del mondo degli affari e di una cultura dello sport delle franchigie che certamente si adatta allo sport americano, ma non inglese o più in generale europeo; dall’altra invece un club fondato dai tifosi, che si son visti privati della squadra espressione del loro quartiere e han deciso di rifondarla partendo dal basso, scalando la piramide e tornando con le loro forze in Football League. Il “support your local team” portato all’estremo, il calcio dei tifosi contro quello plastificato, che non suscita entusiasmo semplicemente perchè non ci si può innamorare di un prodotto artificiale, le cui maglie non odorano di storia e di gesta passate, soprattutto se tale prodotto non è frutto di un’iniziativa spontanea ma è importato. Il Chelsea o il Liverpool vennero fondati per riempire uno stadio vuoto, è vero, ma nel corso degli anni hanno scalato le posizioni per propri meriti: non hanno acquistato la loro posizione in Football League da un altro club, e soprattutto vennero FONDATI, non importati più o meno forzatamente, sradicando dal suo luogo d’origine un club preesistente. Ed è straordinario pensare che, durante la stagione 2002/03, l’ultima del Wimbledon F.C. ormai col destino già segnato, e con l’AFC Wimbledon già in vita, la media spettatori fosse più alta per i secondi, sebbene fossero i primi a giocare tra i professionisti. Ed è questo il vero insegnamento che questa storia fornisce: che il calcio inglese non solo è il calcio legato alla comunità, ma che questa ne è la vera forza. Han provato a uccidere il Wimbledon, e non ci sono riusciti, perchè i suoi tifosi non si sono arresi alle logiche del calcio moderno. Quando la comunità di Merton si è vista privata della sua squadra, l’ha rifondata, partendo dal calcio più amatoriale che esista, genuina testimonianza del legame che non scomparirà mai tra quartiere e club; se invece un giorno il Milton Keynes sparisse dal calcio che conta, quasi nessuno se ne accorgerebbe.

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Viaggio nella Londra del calcio: Barnet, Dag & Red, AFC Wimbledon

Concludiamo il nostro viaggio londinese con il trittico di squadre della Greater London attualmente in League Two, ovvero Barnet, Dagenham & Redbridge e AFC Wimbledon. Partiamo con il Barnet, la squadra più a nord tra quelle professionistiche londinesi.

Barnet Football Club
Anno di fondazione: 1888
Nickname: Bees
Stadio: Underhill, Barnet Lane, Barnet
Capacità: 5.500

La storia del Barnet nel calcio che conta è relativamente recente: l’esordio delle Api in Football League è infatti datato 1991. Prima di quell’anno, una vita tra i dilettanti, e una storia alle origini parecchio confusa che vediamo in breve. Il Barnet Football Club nasce nel 1888, fondato da ex studenti del Cowley College e Lyonsdown Collegiate School; una squadra esisteva comunque già in precedenza, con i nomi di Woodville FC prima (dal 1882 al 1885) e New Barnet FC (dal 1885 al 1888) in seguito. Soprannome della squadra, The Hillmen, e la collina (hill) tornerà spesso nella storia della squadra, collina simbolo di High Barnet (ecco spiegato il motivo della ricorrenza). Il Barnet FC cessò però di esistere nel 1901/02, ragion per cui abbiamo parlato di origini confuse, confusione a cui contribuiscono due società nate nel frattempo, una della quali, il Barnet Avenue (1890) nutriva forte rivalità con il Barnet FC; l’altra era il Barnet Alston (1901). Il Barnet Avenue, approfittando della scomparsa dell’originale Barnet Football Club, cambiò nome proprio in Barnet FC, ma era l’Alston a ottenere i successi più importanti (London League 1906/07), oltre a vestire una maglia a righe ambra e nere che sono tuttoggi le maglie del Barnet e a giocare le partite interne, dalla stagione 1907, all’Underhill, attuale stadio della squadra (oltre che dell’Arsenal riserve).

La stiuazione si stabilizzò nel 1912, quando Alston e ex-Avenue (divenuto, ricordiamo, Barnet FC) si unirono creando il Barnet & Alston FC, membro fondatore della Athenian League (lega amatoriale che cesserà di esistere nel 1984 e che comprendeva le squadre di Londra e dintorni). Rimarranno, the Bees, nell’Athenian fino al 1965. Cinquantatrè lunghi anni, con alcuni acuti tra cui la pietra miliare della prima partita trasmessa in televisione, dalla BBC: Barnet-Tooting & Mitcham, Ottobre 1946. Nel 1919 intanto il Barnet & Alston era diventato Barnet Football Club, terzo club a portare questo nome e questa volta definitivamente. Dicevamo del 1965, anno in cui il Barnet venne promosso in Southern League One, passò allo status semi-professionista e, la stagione successiva (1965/66) ottenne la nuova promozione in Southern League Premier. Gli anni ’70 videro un’altalena tra i due livelli di Southern League, oltre a famosi giocatori che indossarono la maglia ambra e nera del Barnet in quel periodo, tra i quali Bob McNab e soprattutto Jimmy Greaves. La neonata Alliance Football League (poi divenuta Football Conference come la conosciamo oggi) accolse tra le sue braccia il Barnet in virtù dei risultati ottenuti dal club nelle due precedenti stagioni di Southern League Premier. Era il 1979.

Il Barnet rimase in Conference fino alla stagione 1990/91, quando vinse il campionato ottenendo così l’accesso, prima volta nella sua storia, alla Football League (Division Four). L’assaggio, il primo, di Football League durò dieci stagioni; poi la retrocessione in Conference, e il ritorno in Football League Third Division (poi League Two) nel 2005, dove si trova tuttora, con nel mezzo qualche apparizione ai playoff. Chiudiamo questi tre paragrafi dedicati al Barnet con un’analisi dello stemma, che riteniamo interessante perchè racchiude in se l’essenza di Barnet. Sopra la verde collina di High Barnet già menzionata in apertura, campeggiano infatti due spade incrociate e due rose, una rossa (Lancaster) e una bianca (York), simbolo della battaglia di Barnet del 1471, una delle principali nella celebre “guerra delle due rose”. Per quanto riguarda il nickname, invece, pare derivi dalle apicolture presenti nella zona di Underhill nei primi anni di utilizzo dell’impianto (da parte dell’Alston, come visto). Infine, la rivalità più sentita era quella con l’Enfield, risalente agli anni ’80 ma venuta meno sia per i problemi finanziari dell’Enfield, sia per l’ascesa del Barnet, che ha portato il club a scontrarsi con altre realtà londinesi quali Leyton Orient e Brentford (“The battle of the Bees“).
Spostiamoci a nord-est ora, a casa del Dag & Red.

Records

  • Vittoria più larga: 7-0 v Blackpool (Division Three, 11 Novembre 2000)
  • Sconfitta più larga: 1-9 v Peterborough United (Division Three, 5 Settembre 1998)
  • Maggior numero di spettatori: 11.026 v Wycombe Wanderers (FA Amateur Cup, 1952)
  • Maggior numero di presenze in campionato: Les Eason, 648
  • Maggior numero di reti in campionato: Arthur Morris, 403

Dagenham & Redbridge Football Club
Anno di fondazione: 1992
Nickname: Daggers
Stadio: London Borough of Barking and Dagenham Stadium (Victoria Road), Dagenham, Essex, RM10
Capacità: 6.078

La storia del Dagenham & Redbridge è recentissima: vent’anni, nel calcio inglese, sono un’inezia; eppure, la squadra del nord-est londinese si trova già, da qualche stagione, in Football League. Il Dag & Red nasce nel 1992 dalla fusione del Dagenham e del Redbridge Forest, quest’ultimo a sua volta unione tra Leytonstone e Walthamstow e che aveva, nel 1991, raggiunto la promozione in Conference, campionato da cui partì la nuova società così costituita. Nel 1996 il club retrocesse in Isthmian League, rimanendoci tre anni, fino alla stagione 1999/2000 che vide il ritorno in Conference, dove i Daggers rimasero fino al 2006/07 quando arrivò l’ingresso in Football League per la prima volta nella breve storia del club. Nel 2009/10 la stagione culminò addirittura con la promozione in League One (vittoria ai playoff nella finale contro il Rotherham United), dove però il Dag & Red rimase una sola annata, terminando al 21esimo posto e retrocedendo così nuovamente in League Two, dove tuttora rimane.

Questo è il viaggio più breve che abbiamo fino ad ora affrontato. D’altronde è una società recentissima, con una storia quindi compressa in vent’anni e, a differenza dell’AFC Wimbledon che vedremo tra poco, senza un passato e di imprese da narrare. E allora, per non lasciare il Dag & Red così, con due parole in croce, spendiamo qualche riga per parlare dello stadio, Victoria Road, ora per motivi di accordi con la comunità locale ribattezzato “London Borough of Barking & Dagenham stadium”, il più classico degli stadi di League Two/Conference. Due tribune laterali, una delle quali inevitabilmente chiamata North Stand, e nei due end una tribuna nuova di zecca (con rigorosa scritta “Daggers” fatta con i seggiolini, destinata ai tifosi ospiti però) e una piccola, che sembra più una fermata dell’autobus estesa per 60 metri (“Bury Road End”). A Victoria Road si arriva comodamente via Tube, District Line fino a Dagenham East e lo stadio è poco più a nord rispetto alla stazione. Un viaggio diverso che merita però di essere fatto.

Records

  • Vittoria più larga: 6-0 v Chester City (League Two, 2009)
  • Sconfitta più larga: 0-5 v Peterborough United (League One,)
  • Maggior numero di spettatori: 5.949 v Ipswich Town (FA Cup)
  • Maggior numero di presenze in campionato: Tony Roberts, 445
  • Maggior numero di reti in campionato: Danny Shipp, 102

AFC Wimbledon
Anno di fondazione: 2002
Nickname: the Wombles, the Dons
Stadio: Cherry Red Records stadium (Kingsmeadow), Kingston Road, Kingston Upon Thames, Surrey
Capacità: 4.720

 Chiudiamo i nostri viaggi londinesi nel sud-est della capitale, qualche miglia più a est di Wimbledon, andando a trovare l’ominima squadra erede di quel Wimbledon che fece sognare i romantici del pallone sul finire degli anni ’80 e i primi ’90, soprattutto con la vittoria dell’FA Cup del 1988 contro il potentissimo Liverpool e con quel nucleo di giocatori (Dennis Wise, Vinnie Jones, John Fashanu) passato alla storia con il nickname Crazy Gang. La storia dell’AFC Wimbledon inizia nel momento stesso in cui la Football League, con decisione senza precedenti, approva lo spostamento del Wimbledon Football Club a Milton Keynes, città di quasi 200.000 anime del Buckinghamshire a cui una squadra professionistica mancava e che, nella testa dei fautori di questo scempio (non riusciamo a chiamarlo diversamente) avrebbe sicuramente potuto attrarre più persone allo stadio che non il Wimbledon, peraltro da anni ormai privato della sua casa storica, Plough Lane (“show me the way to Plough Lane…”, abbandonato nel 1991 per mancanza di fondi necessari a ristrutturare lo stadio secondo le disposizione del Rapporto Taylor). Sradicare una squadra dal suo quartiere, dalla sua città è la cosa meno inglese che ci viene in mente, è un’americanata e per quanto ci riguarda auguriamo, sportivamente, tutto il male possibile al Milton Keynes Dons (americanata anche il nome, orrendo). Fattostà che i tifosi veri, originali del Wimbledon non poteva restare a guardare.

Fu così che nel 2002 un gruppo di tifosi, con in testa Kris Stewart, fondò la nuova squadra, organizzando una tre giorni di provini perchè, a questa squadra, qualche giocatore serviva in linea di massima. Iscritti alla Combined Counties Premier Division, alla prima partita (amichevole prestagionale) 4.657 tifosi accorsero a salutare la nuova avventura; a fine stagione (promozione sfiorata di un soffio) la media spettatori superò i 3.000 a partita, più di quanto facesse il Wimbledon F.C. (il trasferimento a Milton Keynes, sebbene ormai deciso, venne attuato solo la stagione seguente). Promozione rimandata solo di un anno, perchè nel 2003/04, con 42 vittorie e 4 pareggi, l’AFC Wimbledon stravinse la Combined Counties Premier ottenendo così l’accesso alla Isthmian League. La vita in Isthmian fu più dura e, nonostante diverse apparizioni ai playoff, solamente alla quarta stagione il club, con alla guida Terry Brown, riuscì a ottenere la promozione in Conference South. A questo punto mancavano solo due livelli prima del ritorno in Football League: la Conference South, appunto, e la Conference National: il primo ostacolo venne superato immediatamente 2008/09; il secondo, dopo un anno di assestamento, venne superato nella stagione 2010/11, classificandosi come secondi e vincendo la finale playoff di Wembley ai rigori contro il Luton Town. Dopo nove stagioni, era di nuovo Football League. Nel frattempo, i trofei del Wimbledon F.C., dopo un duro contenzioso, sono stati affidati al London Borough of Merton, per certi versi la scelta giusta anche se idealmente li affidiamo all’AFC Wimbledon.

La rinascita dell’AFC Wimbledon non può che riempire di gioia gli appassionati di calcio inglese, ed è perfetta per chiudere questo nostro viaggio londinese perchè ci testimonia bene come, a Londra più che in ogni altro luogo, una squadra di calcio è un tutt’uno con una comunità, un quartiere, un borough. Quello che, insomma, volevamo dimostrare, una città dove, se il Chelsea progetta uno stadio qualche miglia in linea d’aria da Stamford Bridge ma in tutt’altra zona, si levano proteste, perchè l’identificazione è tutto, e le squadre vivono in simbiosi con le loro comunità. Ma è una storia bella, quella dell’AFC Wimbledon, perchè è anche la vittoria dei tifosi (le maglie stesse sono decise dai tifosi) contro gli interessi, contro il mondo degli affari che preferisce tagliare le radici di una squadra per provare a farla rinasce non a casa sua, e il Milton Keynes Dons sarà sempre una fredda e brutta copia, una squadra senza anima. Sì, siamo soddisfatti di aver chiuso (casualmente) qui, nel sud-ovest londinese, per tutti questi motivi, il nostro viaggio. La londra del calcio è questa, a Croydon come a Chelsea, a Tottenham come a Leyton, ad Upton Park come a Loftus Road, a South Bermondsey come a Brentford, a Islington come a Fulham, realtà diverse, quartieri diversi, lo stesso sentimento di appartenenza, di identificazione, la stessa magia del nonno che trasmette al nipote l’orgoglio di tifare per la propria squadra, il proprio local team, una magia che, ci auguriamo, non finisca mai.

Grazie a tutti.

Records

  • Vittoria più larga: 4-0 v Burton Albion (League Two, 24 Marzo 2012)
  • Sconfitta più larga: 0-4 v Barnet, Macclesfield, Torquay Utd (League Two, 2011/12)
  • Maggior numero di spettatori: 4.722 v St Albans City (Conference South, 25 Aprile 2009)
  • Maggior numero di presenze in campionato: Sam Hatton, 203
  • Maggior numero di reti in campionato: Kevin Cooper, 107

I record “Vittoria più larga” e “sconfitta più larga” si riferiscono solamente alla Football League/FA Cup