La storia del Newcastle United

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Anno di fondazione: 1892
Nickname: the Magpies
Stadio: St James’ Park, Newcastle-upon-Tyne
Capacità: 52.404

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I post dedicati ad Alan Shearer: QUI e QUI

“Ma che diavolo di lingua parlano questi?”. La domanda, forse legittima per un italiano speduto in terra d’Albione, testimonia però una scarsa confidenza di chi l’ha posta con la fonetica delle persone che abitano un angolo d’Inghilterra a suo modo unico, lassù, a nord, poco al di sotto del vallo di Adriano, a due passi dalla Scozia. Quelle persone che comunemente chiamiamo, chiamano e si autodefiniscono Geordie. E che parlano con un accento tutto loro, come spesso capita nelle varie zone d’Inghilterra, quando maledici la tua prof d’inglese che ti insegnava le pronunce come se avessi dovuto parlare tutta la vita con la Regina, e non con degli scousers, o appunto dei geordies.
Appurato che gli abitanti di questa parte del nord-est d’Inghilterra vengono chiamati così, resta da capire, letteralmente, cos’è un “geordie”? Come sempre, aleggia un alone di mistero sulla vicenda. Quel che sembra certo è il legame con il nome George. La motivazione che ci piace di più è legata alle lampade da miniera, quelle inventate da George Stephenson, che i locali preferivano alle omologhe di Sir Humphrey Davy. E ci piace perchè la miniera è il palcoscenico in cui per anni la vita di questa gente del nord è andata in scena, tra stenti e sudore, e nelle quali è maturato quel senso di appartenenza e di fiero orgoglio caratteristico di queste parti.

E c’è un posto in particolare in cui questo orgoglio geordie si manifesta regolarmente, da più di un secolo. Un posto chiamato St James’ Park, Newcastle-upon-Tyne, the Toon (ovvero town nella pronuncia locale), la città principale della zona, nelle cui panoramiche vedrete sempre un ponte, perchè beh, non c’è molto altro da offrire all’obiettivo della fotocamera. St James’ Park. 52.404 posti, spesso esauriti, il terzo stadio più grande della Premier, il quarto d’Inghilterra se si tiene conto di Wembley. E la casa del Newcastle United praticamente da sempre, avendolo ricevuto in eredità dalle due squadre che contribuirono alla nascita del club, il Newcastle West End e l’East End. Newcastle East End sarà anche la prima denominazione del club, visto che il West End venne sciolto e assorbito dall’East End stesso, stadio incluso, lasciando nella città una sola squadra di rilievo. Nel Dicembre di quello stesso anno, cadute le differenze tra East e West End, si decise pertanto che il club necessitasse di un nuovo nome; con scelta saggia e frequente quanto si trattava di fusioni tra società, si optò per Newcastle United Football Club.

St-James-Park-006Non fu subito Football League, che arrivò però nella stagione 1893/94; e sarebbe arrivata subito, se non fosse che i dirigenti rifiutarono l’invito per la Second Division, accettandolo peraltro la stagione seguente (il motivo del rifiuto era la scarsa prospettiva di incasso a fronte delle spese per le trasferte, costi che invece erano contenuti in Northern League). Dopo le prime non esaltanti stagioni, sul campo e sugli spalti dove di rado si raggiungevano numeri quantomeno discreti, a Newcastle però si accorsero che, in questo giochino tanto bello, a cavallo dei due secoli dominavano…gli scozzesi, praticamente i loro vicini di casa. Con una squadra formata prevalentemente da scozzesi (Howie, McWilliam, Lawrence, McCombie), i Magpies (soprannome standard per qualsiasi squadra bianconera inglese che si rispetti) dominarono il decennio 1900-1910: tre titoli e cinque finali di FA Cup, di cui però quattro perse e solo nel 1910, finalmente, vinta (contro il Barnsley). Il bis, sfiorato nuovamente l’anno successivo, arrivò solo 14 anni dopo, sconfiggendo in finale l’Aston Villa con reti di Harris e Seymour, quando ormai la gara sembrava destinata al replay.

La squadra vincitrice dell’FA Cup nel 1924 conquistò, due stagioni dopo, il titolo, ad oggi l’ultimo campionato vinto dal Newcastle. Al solido nucleo già presente si unì, nemmeno a dirlo, uno scozzese, proveniente dall’Airdrieonians e rispondente al nome di Hughie Gallacher, che segnerà 143 goals in 174 partite con i Magpies prima di emigrare a sud, al Chelsea. Gallacher fu uno degli ultimi alfieri del grande Newcastle, perchè da lì a poco un inesorabile declino vedrà lo United precipitare in seconda serie. Prima però l’ultimo squillo di gloria, un’altra finale di FA Cup, vinta, 2-1, contro l’Arsenal. 1932, e ai posteri quella partita si consegnerà come the over the line final, perchè il pareggio del Newcastle scaturì da un cross di Richardson con la palla visibilmente oltre la linea di fondo. Ma come detto, fu l’ultimo acuto: alla fine della stagione 1933/34, dopo 35 lunghi anni di massima serie, i Magpies si ritrovarono in Second, dove molti anni prima la loro storia era cominciata. Manager di quell’edizione del Newcastle era Andy Cunningham, un nome che dice poco a prima vista, ma trattasi del primo player-manager della storia della First Division inglese.

"Wor Jackie"

“Wor Jackie”

A differenza del Paese che si leccava le ferite di una sanguinosa vittoria, il Newcastle uscì dal periodo bellico rinvigorito. La promozione tardò due stagioni ad arrivare, ma la squadra che venne costruita fu tra le migliori che si potessero auspicare. Deus ex machina dell’operazione il grande Stan Seymour, già giocatore del club come visto e, a tratti, anche allenatore. Un nucleo di local lads (Jackie Milburn, detto Wor Jackie, espressione geordie che significa “il nostro Jackie”, secondo cannoniere nella storia del club, e poi Bobby Cowell, Ernie Taylor) e tante star, tra le quali il cileno Jorge “George” Robledo (e suo fratello Eduardo -Ted- che però fu meno brillante), lo scozzese Bobby Mitchell (detto Bobby Dazzler, espressione colloquiale del nord indicante tipo tosto, cool, speciale), gli inglesi Joe Harvey (il capitano) e Len Shackleton. Pochi giri di parole: gli anni cinquanta videro questo Newcastle vincere tre volte l’FA Cup. Nel 1950/51 a soccombere fu il Blackpool, 2-0 sotto i colpi di Milburn; nel 1952 la vittima fu l’Arsenal, su cui i Magpies si imposero grazie a una rete di George Robledo; e infine nel 1955 fu la volta del Manchester City, sconfitto per 3-1 grazie al solito Milburn, a Mitchell e ad Hannah.

Ma il sognò durò un decennio. Nel 1961, nuova retrocessione. Manager Charlie Mitten, ex giocatore del Manchester United e…dell’Independiente de Santa Fe. Piccolo excursus. Come dell’Independiente de Santa Fe? Mitten fu uno di quei giocatori che, durante il tour in Sudamerica del Manchester United nel 1950 – un autentico successo di pubblico – , disse “ah sì? Noi riempiamo gli stadi e voi ci pagate solo 12 sterline a settimana? E io gioco per questi”. La Colombia non era soggetta all’autorità della FIFA, e Mitten firmò, per 5.000 sterline più una paga settimanale di 40 bigliettoni. The Bogotà Bandit venne soprannominato, ma dopo sola una stagione tornò in patria, smise di giocare e incominciò ad allenare. Non con grandi risultati. Per sostituirlo sulla panchina venne chiamato il capitano della grande squadra del dopoguerra: Joe Harvey. Harvey nel 1965 conquistò la promozione, nel 1968 qualificò per la prima volta la squadra alle competizioni europee e, all’esordio nella Coppa delle Fiere (antenata della fu Coppa UEFA) vinse subito il trofeo. La squadra di Pop Robson, Bobby Moncur, Frank Clark e del centravanti gallese Wyn Davies, che nel 1971 cedette la maglia numero 9 ad un altro attaccante, destinato a entrare nel cuore della Toon Army: Malcolm Macdonald, Supermac (un attento lettore di Nick Hornby lo conoscerà bene).

Vincitori della Coppa delle Fiere

Vincitori della Coppa delle Fiere

Ma con Supermac non si vinse nulla. La finale di FA Cup del 1974 vide trionfare nettamente il Liverpool di Shankly, alla sua ultima partita sulla panchina dei Reds; e nel 1975 Harvey, dopo più di un decennio alla guida del club, venne licenziato. Infine, nel 1976 Macdonald portò la maglia numero 9 ad Highbury tra le polemiche. Un ultimo sussulto venne dalla stagione 1976/77, quando a Natale i Magpies, guidati da Gordon Lee, erano in lotta per il primato in classifica. A Gennaio Lee cedette però al corteggiamento dell’Everton, lasciando la panchina a Richard Dinnis, che concluse comunque la stagione al quinto posto. Ma il crollo arrivò nella successiva; una campagna disastrosa vide ripiombare il Newcastle negli inferi della Second Division (l’ultimo posto fu evitato solo per la tremenda differenza reti del Leicester). Gli anni ’70 finivano, e il decennio che seguì fu, diciamo così, particolare per i Magpies. Non tanto per i risultati, anche se nel 1982 ci fu il ritorno in First Division, quanto per i giocatori che si alternarono con la casacca bianco-nera (che è così dal 1894, dopo un primo biennio di maglia rossa). Star che avevano scollinato il picco della loro carriera, ma non per questo meno efficaci, come Kevin Keegan e Terry McDermott; e tanti giovani lanciati, nativi del Tyne & Wear o del Northumberland, di cui tre destinati a entrare nella storia del calcio inglese: Peter Beardsley, Chris Waddle e Paul Gazza Gascoigne.

Ma questi talenti non fecero la gloria del Newcastle, anzi: le cessioni di Beardsley (Liverpool), Waddle e Gascoigne (entrambi finiti al Tottenham) furono l’apice di un momento di crisi societaria e sportiva che nel giro di poche stagioni portò i Magpies sprofondare sul fondo della Second Division (1991/92). Casi del destino, quello fu l’inizio della rinascita. La società, dopo lunghe battaglie tra gli azionisti, passò nelle mani di Sir John Hall, imprenditore di Ashington, figlio di un minatore come si conviene da queste parti, che come prima decisione affidò la panchina a Kevin Keegan, alla sua prima esperienza alla guida di un club. I risultati che seguirono dimostrarono la validità della scelta, e il fatto che il concetto di “esperienza” vale come il 2 a briscola. Promozione nella neonata Premier League, qualificazione UEFA, Robert Lee, Andy Cole, l’ammodernamento di St James’ Park. Tutto meraviglioso, come non lo sembrava da anni, poi Keegan cedette nell’estate del 1995 Andy Cole al Manchester United ed ecco i fantasmi del passato a tornare cupi sui cieli di Newcastle. Ma i fantasmi furono spazzati via. Alla partenza del futuro Calypso Boy fecero seguito gli arrivi di Faustino Asprilla, del prolifico attaccante del QPR Les Ferdinand e del sempre meraviglioso David Ginola, chioma bionda e classe sopraffina. Secondo posto finale. Il miglior risultato in decenni di storia.

Unico e inimitabile Alan

Unico e inimitabile Alan

Nel frattempo nel sud dell’Inghilterra prima e nel Lancashire poi un giovane attaccante, nativo proprio di Newcastle, regalava gioie ai tifosi e speranze alla Nazionale inglese, impegnata nel 1996 nell’Europeo casalingo. Anche ai membri della Toon Army che avessero mai osato sognare di averlo nella propria squadra sembrò incredibile, nel 1996, vederlo arrivare a St James’ Park. Il nome sarebbe superfluo, perchè sarà colui che spazzerà via Jackie Milburn dai libri di storia, e che nella mente di tutti gli appassionati di calcio legherà il suo nome a quello del club per cui tifava da piccolo; ma l’arrivo di Alan Shearer sembrava davvero poter riaprire le porte del paradiso. E invece fu nuovamente secondo posto, una stagione iniziata da Keegan e conclusa da Dalglish, dopo che King Kevin si dimise adducendo come motivazione “sento di aver portato il club al massimo livello possibile”. Il Newcastle di Dalglish lasciò due ricordi indelebili, la vittoria in Champions League contro il Barça e la finale di FA Cup del 1998, persa però contro l’Arsenal; l’ex Liverpool lasciò il posto a Ruud Gullit, in tempo per un’altra FA Cup persa (stavolta contro il Manchester United) e un rapporto mai nato con Alan Shearer, una delle ragioni per cui l’olandese si dimise all’inizio della stagione 1999/2000 la panchina di St James’ Park.

Ecco, a questo punto entra in gioco un altro personaggio chiave nella storia recente dei Magpies. Un uomo anch’egli del nord, County Durham, un girovago del calcio che ha vinto ovunque sia stato, da Ipswich a Barcelona passando per Oporto ed Eindhoven: Sir Bobby Robson. Le cinque stagioni di Robson alla guida del Newcastle videro i bianconeri giungere, dopo due stagioni che potremmo definire di assestamento, quarti, terzi e quinti in campionato, e ad una semifinale di Coppa UEFA persa nel 2004 contro l’Olympique Marseille. Trofei nemmeno l’ombra, ma quella squadra, con Shearer, Robert, il compianto Speed fu l’ultima a competere ad alti livelli. Progressivamente il giocattolo si sgretolò, Robson venne licenziato, Souness subentrò senza lasciare il segno, Shearer al termine della stagione 2005/06 appese gli scarpini al chiodo, e per il Newcastle da lì a pochi anni fu nuovamente retrocessione. E’ storia recente, con il ritorno sfortunato di Shearer nelle vesti di manager, che fece peraltro seguito a quello di Keegan, ma anche con la promozione centrata al primo tentativo, dominando la Championship, fino all’arrivo di Pardew. E questa non è storia recente, ma recentissima.

0,,10278~8947108,00Salutiamo Newcastle. Newcastle e le sue maglie bianco nere, talmente significative che i due colori campeggiano nello stemma che ricalca, per il restante, quello cittadino. Newcastle e il suo cielo grigio, i ragazzi che schiamazzano per strada con il loro accento tipico. Newcastle e Seymour, Milburn, Gallacher e Shearer. Newcastle e St James’ Park, che si staglia all’orizzonte, mentre ti allontani nella pioggia di novembre.

Le rivalità del South Devon

Jacopo Ghirardon, che avrete imparato a conoscere per il pezzo sul Truro City di qualche tempo fa, ci regala un’altra perla e ci porta nel mondo del South Devon, contea occidentale dell’Inghilterra sede di tre squadre di calcio, l’Exeter City, il Plymouth Argyle e il Torquay United che quest’anno parteciperanno alla League Two e che sono divise da una fiera e sentita rivalità.

Poche regioni inglesi sono famose come il Devon: un nome che evoca terre un po’ selvagge e austere, all’apparenza, ma con una grande storia, cultura e tradizione, specie nelle 3 città principali. Perché il Devon, forzando un po’ il paragone, è come la Scozia: a sud ci sono le grandi città e il principale motore economico e culturale della contea, mentre a nord i paesi sono piccoli, la natura selvaggia e le tradizioni, miste tra il britannico e il celtico (l’influenza Cornica a ovest e Gallese a nord del canale di Bristol) si fanno sentire. Dartmoor ed Exmoor, i due parchi naturali principali (tra i più grandi dell’intera nazione), come le Highlands scozzesi, insomma. Come si intuisce da questa introduzione, il Devon è una regione molto orgogliosa, dove esiste grande rivalità di campanile tra le città principali. Exeter, Torquay e Plymouth, tre città racchiuse in una specie di triangolo distanti al massimo 50 km l’una dalle altre, si contendono il South Devon Derby, una delle rivalità locali più sentite di tutta l’Inghilterra. Tre località con una storia completamente diversa, sia dal punto di vista culturale, che da quello calcistico, che per la prima volta dopo moltissimi anni si ritrovano nello stesso campionato, quello di League 2 iniziato lo scorso sabato. Riassumendo, in maniera sommaria, Exeter si può definire il centro culturale e storico della regione, una delle città più ad ovest fondata dagli antichi romani, Torquay la piccola e graziosa località balneare, che negli ultimi anni si è saputa trasformare diventando il principale centro della British Riviera, località un po’ pittoresca e un po’ posh apprezzata ormai non solo nel Regno Unito. E poi c’è Plymouth, il grande porto industriale, uno dei più grandi della nazione; da li parte il Tamar Bridge, quello che divide il Devon dalla Cornovaglia: terre di confine, insomma.

La bandiera del Devon

Il calcio, in queste zone, arriva un po’ più tardi che nel resto del paese: è il 1886 quando a Plymouth viene fondato l’Argyle FC, nome piuttosto curioso su cui esistono varie versioni: la più in voga è quella che la squadra si chiami cosi in onore degli Argyll and Sutherland Highlanders, un reggimento militare che possedeva all’epoca una forte squadra di calcio. Un’altra possibilità sia che la squadra sia stata fondata in un pub di Plymouth chiamato Argyle Tavern. Non ci sono dubbi invece sulla provenienza del nickname della squadra, ossia Pilgrims: nel 1620 i membri di una setta religiosa partirono da Plymouth con la Mayflower, la barca rappresentata nel logo societario della squadra, per colonizzare il nuovo mondo e in particolare il Massachusetts. Nel 1903, con l’iscrizione alla Southern League, la squadra assunse la denominazione attuale. Il calcio ad Exeter mosse i primi passi nel 1890, con la fondazione dell’Exeter United, squadra che prese il nome da una società attiva nel cricket, e il St.Sidwell’s United, che invece prese il nome dalla strada su cui era stata fondata. Nel 1903 le società decisero di unirsi nell’Exeter City, giocando a St.James Park, vecchio stadio dello United e tuttora stadio dell’Exeter. Nel 1914 la squadra andò in tournee in Sudamerica, affrontando, nella loro prima partita della storia, la leggendaria Seleçao brasiliana, che si aggiudicò il match per 2-0. A Torquay la prima squadra, chiamata Torquay Town, venne fondata nel 1899, anche se iniziò ad essere attiva a livello di campionati solo nel 1910. Nel 1921 avvenne la fusione tra Torquay Town e Babbacombe (una piccola località sempre nell’area di Torbay), dando vita al Torquay United e venendo iscritti alla neonata Football League Third Division, unendo i propri destini a quelli delle altre due squadre della contea con il quale il Torquay voleva primeggiare, ossia Plymouth ed Exeter: nasce qua il mito del South Devon Derby.

Plainmoor, la graziosissima casa del Torquay United

Nonostante l’iscrizione, però, il Torquay debbe aspettare il 1927 per poter partecipare alla Third Division, categoria nella quale il Plymouth arrivò sempre tra le prime 4 squadre nei primi dieci anni, ottenendo però mai il titolo che avrebbe permesso la promozione in Second Division. Solo nel 1930 l’Argyle riuscirà a spezzare la maledizione e ad essere promosso, lasciando dietro i rivali locali Exeter e Torquay, praticamente fino a qualche anno fa: infatti l’Argyle si stabilizzerà sempre tra Division 3 e Division 2 (dove trascorrà la maggior parte delle proprie stagioni, equivalente delle attuali League One e Championship, senza ottenere però mai la promozione in First Division/Premier: attualmente Plymouth è la più grande città inglese (258.000 abitanti, ndr) a non aver mai visto la principale divisione del calcio Inglese. Parallelamente, Exeter e Torquay non andarono mai oltre la terza serie, anche se l’Exeter, al contrario del Torquay, ebbe una serie più ampia di successi, tra cui una deep run in FA Cup nel 1980 conclusasi al sesto turno ed il titolo della fourth division (League Two) nel 1990. Il Torquay trascorse invece la maggior parte delle proprie stagioni nell’ultima divisione del calcio professionistico inglese, trovando li la propria dimensione e aumentando di fatto la rivalità contro l’Exeter, mentre il Plymouth, ormai stabile in cateogorie superiori, estese la propria rivalità alle due squadre di Bristol, City e Rovers, con il quale si contese il Western Countries derbies.

L’inizio degli anni 2000 segnano una svolta negativa per tutte le due squadre del Devon “minori”, ossia Exeter e Torquay: nel 2003 l’Exeter infatti viene travolto da una crisi economica, emersa dopo varie stagioni di cattiva gestione, che comportano alla retrocessione in Conference dopo un disperato duello con un’altra squadra che all’epoca navigava in pessime acque, lo Swansea City. Fu la prima retrocessione dalla Football League dopo 83 anni ininterrotti all’interno delle prime quattro serie del calcio inglese, una mazzata per molte squadre, che spesso pagano oltremondo la retrocessione da League 2 a Conference, dove gli introiti sono ovviamente minori. Ad Exeter però si mosse il pubblico, e nel 2004 il Supporters’ Trust completò l’acquisto del club: il primo esempio di club comprato dai propri tifosi nella storia. Nonostante le difficoltà, ovvie per una iniziativa all’epoca considerata quasi un azzardo, ci furono due eventi che permisero di superare la crisi ai nuovi proprietari: nel 2005 l’Exeter fu protagonista di una grande FA Cup, dove arrivò al terzo turno a sfidare il Manchester United: ad Old Trafford, spinta da quasi 10mila tifosi, l’Exeter strappò un clamoroso pareggio che costrinse i Red Devils il replay a St.James Park; qui però si spense il sogno dei Grecians, battuti 2-0 con goal di Scholes e Cristiano Ronaldo. Precedentemente, per il centenario del club, una rappresentativa venne inviata dalla federazione Brasiliana, quasi per contraccambiare quanto successo nel 1914. Entrambe le occasioni portarono molti soldi nelle casse del club, che potè stabilizzarsi nella categoria per cercare di tornare in League 2: nel 2006-07, però, il sogno venne spezzato dal Morecambe che vinse 1-2 nella finale playoff. Proprio nel 2007, il Torquay United, dopo una stagione fallimentare, retrocesse in Conference, creando i presupposti per la rinascita del Devon Derby per eccellenza: infatti ai nastri di partenza della stagione 2007-08 entrambe le squadre si presentavano come favorite per la promozione: a fine stagione, arriveranno terze e quarte, garantendosi l’accesso alla semifinale playoff, dove le squadre si troveranno contro: una battaglia senza precedenti, un mors tua vita mea d’altri tempi: all’andata a St.James Park il Torquay si impose 1-2, mettendo una seria ipoteca sul passaggio del turno. Nonstante ciò, il sabato successivo furono oltre 3000 i tifosi che si mossero da Exeter per invadere il piccolo Plainmoor (7.000 spettatori in tutto), ovviamente gremito: dopo l’1-0 dell’intervallo per i Gulls sembrava tutto finito, invece quattro goal nel finale diedero il biglietto per Wembley all’Exeter City, e una enorme delusione al Torquay. Delusione che divenne disperazione due settimane dopo: infatti l’Exeter battè il Cambridge e tornò in League 2, mentre il Torquay, con il morale sotto i tacchi, si presentò a Wembley per la finale del Trophy contro l’Ebbsfleet: ovviamente, anche qua il Torquay perse (1-0): una stagione da buttare, insomma. La stagione successiva, però, il Torquay si riprese, e riuscì a tornare nella Football League, vincendo il playoff contro il Cambridge United nella finale di Wembley.

St James Park che si intravede nel mezzo di Exeter

Sulle ali dell’entusiasmo della promozione, l’Exeter arrivò seconda nella prima stagione dopo il grande ritorno in League Two, garantendosi la promozione in League One per la stagione 2009/10. Stagione, quella, che sancì l’inizio della crisi per il Plymouth Argyle: affogato dai debiti, i Pilgrims iniziarono a prendere una bruttissima piega, e venne retrocesso in League One, dove avrebbero affrontato per la prima volta dopo quasi 40 anni l’Exeter City, dando i presupposti per il ritorno del derby del Devon tra le due città principali: arriviamo dunque alla stagione scorsa, quando le squadre si ritrovano in League One: sarebbe potuto arrivarci pure il Torquay, ma la sconfitta nel playoff di League Two contro lo Stevenage costò la promozione ai Gulls. Ma il destino volle unire le tre squadre, e cosi, nella scorsa stagione, Exeter e Plymouth retrocessero in League Two, mentre il Torquay fallì ancora nei playoff (questa volta in semifinale contro il Cheltenham). Non fu una semplice retrocessione quella del Plymouth, che entrò in amministrazione rischiando addirittura una pilotata retrocessione in Conference South, che avrebbe portato in soli 3 anni l’Argyle da il dominio nella zona dell’intero South West ad un potenziale derby contro i “cugini” del Truro City (in Cornovaglia la squadra nettamente più tifata tra le “grandi” è appunto l’Argyke): cosa che per fortuna non avvenne, e ad inizio estate le cose si sono sistemate per l’Argyle. Arriviamo dunque ai giorni nostri, quando tutte e tre le squadre sono tra le candidiate alla promozione. Non ci mettiamo nei panni della cittadina di Newton Abbot, che sostanzialmente si trova al centro del triangolo formato dalle tre città: in caso di derby “importanti”, la non si può stare tranquilli, visto la fiera rivalità tra tre città e squadre un po’ periferiche nella storia del grande calcio inglese ma con coraggio e orgoglio da vendere. Perchè in questa stagione non c’è solo in palio una promozione, ma il dominio su una regione.

Jacopo Ghirardon (twitter: @Ghirarz)

Marco dell’ormai noto Londra Calcistica è stato nei tre stadi. Potete trovare i suoi racconti qui:

http://londracalcistica.blogspot.co.uk/2012/07/exeter-city-football-club.html
http://londracalcistica.blogspot.co.uk/2012/07/plymouth-argyle-football-club.html
http://londracalcistica.blogspot.co.uk/2012/07/torquay-football-club.html